Intervista di Lele Cerri
04.03.2002
Gianni Ferrio ovvero “l’inevitabilità di fare musica”. Gianni Ferrio o “Improvvisamente”, “Ora o mai più” e tanti altri stupendi giochi musicali fino a “Non gioco più” per poi di nuovo slanciarsi con Mina “Dalla terra”. Gianni Ferrio compagno del lungo e proficuo percorso musicale di Mina, testimone del suo entrare, sbucando da dietro ad un juke box, nella vita degli italiani che, almeno musicalmente, non sarebbe più stata la stessa di prima.
Siamo appena entrati nella dimensione intervistato-intervistatore, il Maestro Ferrio ed io, e stiamo guardandoci ridendo tutti e due come matti; non siamo abituati a parlare di Mina, l’abbiamo sempre vissuta, spesso assieme; e tantomeno siamo abituati a raccontarci cose che sappiamo benissimo che ognuno di noi sa già. Ma in questo momento io sono il pretesto perché lui le racconti a voi, quasi a viva voce, come durante una passeggiata tra amici, in gruppo. E credo che ridiamo perché, alla fine, forse siamo proprio contenti di questo “che” di insolito: di parlarne…
L.C. – Gianni, ho da farti delle domande su Mina.
G.F. – Perché, tu non ne sai niente? Sei innocente?… Hai un alibi?… In quel momento eri via?…
Non ridere!…
L.C. – Va bene, allora, se vuoi, tu “ti” fai le domande e io “ti” rispondo… E smettila di ridere!… Ecco, così rido soltanto io… Tregua. Mmmmhhh… non farmi ricominciare… Ci siamo. Pronti per questa nostra chiacchierata davanti ai nostri compagni di passeggiata che leggeranno.
G.F. – Va bene, partiamo, va’ avanti tu.
L.C. – Dunque… …Gianni, tu puoi assicurarci testimonianze di prima mano sull’arrivo di Mina. Come è successo? È arrivata come un puntino lontano in avvicinamento o è apparsa di colpo, è in effetti “piombata” sull’Italia televisivo-canora?
G.F. – Credo che l’arrivo di Mina si possa definire come minimo “fulmineo”. A “Lascia o raddoppia” e al “Musichiere”. E a me sembra che sia stata prima da noi al Musichiere. Dico “da noi” perché allora lavoravo con Kramer, facevamo il Musichiere a Roma. Mina arrivò con altri cantanti, “urlatori” li chiamavano, e lei è venuta e ha cantato “Nessuno” in quella versione famosa e con quella dizione imitata da tutti. Ero con Kramer, e anche Kramer ha detto “bella ‘sta ragazza”, “bella” come cantante, oltre che come presenza, naturalmente; e come doti di cantante Mina era senz’altro, tra tutti loro, direi l’unica vera cantante.
L.C. – Al di là del fatto che allora non fosse certo preparata tecnicamente o affinata vocalmente?
G.F. – Sì, si sente subito se uno è grande. Come tra pianisti, puoi sentire quello più preparato ma capisci subito che quello ancora in erba ma con più talento è già più grande, dice qualcosa d’eccezionale.
L.C. – Posso chiederti ancora, per amor di chiarezza, da cosa si rileva questa bravura quando ancora le doti non sono affinate, quando ancora non si sa sfruttare bene la voce?
G.F. – Le doti non si acquisiscono, si sa. Le doti Mina le aveva. Si capiva che era intonata, quadrata e soprattutto che dava un grande significato alle parole, riusciva a far diventare gradevole, piacevole e “molto musicale” anche la nostra lingua; che per quanto “sembri” molto musicale non lo è. In inglese, cantare è molto più facile ad esempio. Se si avesse dovuto cantare Night and day in italiano, pensa un po’, “notte e dì”… sarebbe stato un bel problema… E Mina questo problema ha saputo risolverlo, ne ha avuto la capacità fin dall’inizio; e poi… un esempio per tutti “e sottolineo se…”…
L.C. – Che tra l’altro è un’invenzione assoluta, un’innovazione di quel grandissimo autore che è Giorgio Calabrese che, a mio parere, è colui che ha veramente inventato, per primo, il linguaggio moderno nei testi delle canzoni.
G.F. – Sì. E io, però, sfido chiunque a renderle credibili, queste parole, a rendere il significato che Calabrese dava loro… perché, essendo molto musicale, Calabrese aveva capito che dopo “E se domani…”, in quel punto, le parole che dovevano andare lì, nella frase musicale di Carlo Alberto Rossi, nel contesto, non potevano essere migliori di quell’ “…e sottolineo se”… Beh, cantate da altri, con una natura musicale meno profonda, diventavano qualcosa di ostico, un passaggio insuperabile. Cantate da Mina…: perfetto.
L.C. – Sì, resta indimenticabile addirittura la bocciatura del pezzo dopo la prima serata di Sanremo. Quella frase cantata, troppo nuova, suonava scioccante, era un’aggressione alla quale il pubblico doveva essere condotto dolcemente e chiaramente, con una soluzione musicale vocale. Correggimi se sbaglio. Se ho detto giusto che voto mi dai?
G.F. – Ti do 9+ perché è vero… questa è una delle qualità di Mina, una delle tante qualità, come la personalità, il rendere facile quello che è difficile, l’interpretare in modo personale tutto, per cui una cosa che può sembrare discutibile, non lo è, perché, in un certo senso, migliora. Cerco di spiegarmi: quello che in Mina, a volte, può sembrare non corretto, è invece una cosa “in più”, più su…. più alta.
L.C. – Cioè il primo passo e i successivi per quella che sarà la soluzione migliore?
G.F. – Certo, certo.
L.C. – Possiamo parlare in questi termini anche di quello che è stato definito “il suo americaneggiare”, il suo distorcere le vocali, inventare dei suoni estranei alla lingua italiana parlata? Lo possiamo considerare una ricerca, dunque, la ricerca della propria vocalità, di propri suoni, per poi arrivare alla purezza della pronuncia di oggi, al “bel canto” di questi ultimi anni?
G.F. – Certo, altro 9+. Come canta Mina oggi è il risultato di una specie di ricerca, forse inconscia, che ha fatto lei, per rendere con la voce quello che sentiva dentro, per dare alle parole “un suono” e non solo un significato, “un suono”. E poi la sua capacità di “sillabare”, “scandire”, assolutamente unica. Quando io rivedo questo dvd che abbiamo fatto, lei che canta dal vivo dopo avere sentito l’arrangiamento e averlo assimilato subito… è un incanto; e poi è bello sentirla che “si appoggia” sulle cose che faccio io, musicalmente, perché le intuisce, le capisce e poi, senza bisogno che io le dica quello che deve fare – anche perché ci conosciamo da tanti anni e quando scrivo, scrivo sapendo cosa lei è in grado di farci sopra – lei “valorizza” quello che io ho evidenziato con l’orchestra. Poi quando abbiamo finito mi guarda come a dire “hai sentito?” “bene, no?”. E se io mi permetto di dirle brava… mi dice “uffa, ma smettila!”.
L.C. – Le tue tappe con Mina? Vuoi chiedermelo tu ed io ti rispondo?
G.F. – Vediamo se me le ricordo bene come te. Dunque, l’ho conosciuta al Musichiere, nel ’59. Eravamo piccoli. Poi ci siamo persi un po’ fino…
L.C. – “Il mondo… è diventato nienteeee….”
G.F. – Allora. Sì! Facevo cinema, musica per il cinema, scrivevo delle canzoni, “Improvvisamente” era nel suo film “Accadde in Riviera”. Mandai la musica al regista che gliela affidò, e mi ricordo che una signorina che lavorava per lei all’epoca, credo che le facesse da segretaria, mi scrisse un bigliettino da parte sua: “Mina canterà volentieri questo pezzo, lo trova un po’ strano ma le piace molto”. Il pezzo “strano ma bello” era, appunto, “Improvvisamente”. Sono passati tanti anni ma mi è rimasto impresso. Mina, naturalmente, dopo un primo ascolto lo cantò al volo. Poi ci fu “Ora o mai più”, una sigla finale, sigla finale di una Canzonissima che allora si chiamava con un altro nome, “Gran premio” o non ricordo come. Avevo fatto questa canzone e gliela feci sentire e anche quella, via la prima. Poi altre canzoni mie e… sì, “Parole parole”, Teatro 10 del ’72, poi di seguito, l’estate di quell’anno, l’episodio della Bussola con tutta l’orchestra.
L.C. – Con tanto di ripresa video e “laser disc”! E prima, le prove per quell'”evento”. Qualcosa su quelle serate di prove con Mina e l’orchestra all’International Recording di Roma?
G.F. – Sì. Stavamo facendo Teatro 10 e lei mi disse che avrebbe voluto fare, quell’estate, le serate alla Bussola con l’orchestra. Allora mi buttai a capofitto a farle gli arrangiamenti, e abbiamo provato per una decina di giorni per mettere l’orchestra in condizioni di suonare senza direttore, con Mina davanti che “trainava” cantando. Mi ricordo che già allora diceva “Senti, non potremmo continuare ancora due o tre mesi con le prove e poi non facciamo niente? Mi diverto tanto a provare…”. Già lì, già allora, a cantare in pubblico, le veniva l’ansia. Invece ci fu una stagione dal vivo alla Bussola in cui una delle più grandi cantanti del mondo, questa volta italiana, faceva quello che fino allora avevano fatto soltanto i più grandi cantanti americani, cioè quei 25 concerti con una formazione come quella. Una stagione incredibile, con la gente che si arrampicava sulle pareti della Bussola. A volte io e Alba andavamo di volata da Roma a Viareggio per sentirla cantare, perché mi piaceva sentirla, era eccezionale, indimenticabile.
L.C. – Perché non si è fatto più spesso qualcosa di quel genere? Era una cosa che avrebbe potuto entrare nei programmi anche di altri cantanti?
G.F. – Beh, già 25 serate di quel calibro, in quelle condizioni, sono qualcosa di irripetibile. Per il fatto che potesse diventare un costume, qualcosa di abituale per tutti, poi, dopo che l’aveva fatto Mina…, diciamo la verità, molti altri, forse, si sono guardati bene dal farlo, dopo.
L.C. – Qualche altro ricordo di quelle serate?
G.F. – Lo stare bene con lei, da amici. Lo ricorderai anche tu che dopo lo spettacolo io e Alba non ripartivamo subito per Roma, ci fermavamo con lei fin verso le cinque, le sei, a giocare a carte, chiacchierare…
L.C. – A giocare a stupidate, ad andare ad aspettare l’uscita delle brioches al forno di Viareggio, i panini caldi appena sfornati con la mortadella… sembravamo quasi una gita scolastica, dalla contentezza, con lei…
G.F. – …con lei con ancora indosso l’abito e gli zatteroni di scena ma col suo borsone con dentro mezza casa da dove tirava fuori tutto quello che fosse servito a chiunque. Poteva scaricarti sul tavolo di tutto, da un cachet per il mal di testa – altrui – a tre taccuini nuovi di pacca, una serie di biro con ogni punta possibile, una stilografica con relativa boccetta d’inchiostro… di tutto, fino addirittura a una borsa più piccola appena scaduta di misura superata da quella più grande che la conteneva.
L.C. – Delle roulottes, dei personal-containers, più che altro.
G.F. – Sì, qualcosa del genere, delle specie di “bauli dell’attore!”… Quando arrivava in studio per Teatro 10, alle prove o a registrare, sembrava che arrivasse una specie di Gondrand; con quelle borsone poteva tenere testa a una ditta di traslochi.
L.C. – In fondo erano proporzionate ai tacchi e alle “zeppe” degli stivali che portava allora. Diciamo che ognuno dei suoi “eccessi” sembrava fatto apposta per annunciarne un altro da lì a poco…
G.F. – Era un suo modo, molto divertente anche per gli altri, di divertirsi. A “Teatro 10” ci siamo molto divertiti, infatti, con le sue “sorprese”…tra ciglia finte, zatteroni, capelli in ogni modo e via via. Poi a un certo punto, il periodo di “Milleluci”, in cui era magrissima, cominciò a saccheggiarmi il guardaroba. Ricordo una volta che disse “belli quei jeans” di vellutino. E Alba la portò in guardaroba e se ne scelse un paio che infilò subito.
L.C. – Sì, come no?, cominciò a portarli con un mio cappotto di velluto fatto a trench, che le era altrettanto piaciuto.
G.F. – Me la ricordo, così, un po’ come la “sorella indossatrice” di John Wayne. Fu una mise che adottò per un po’, ci veniva in sala prove… e mi ricordo che la guardavo, accanto a me, che diventava ogni giorno più alta, con tacchi sempre più alti… Se non fossero finite le puntate…
L.C. – Era il tempo, appunto, di “Milleluci” e di quel proclama… “Non gioco più”. Qualcosa che tu ricordi, in particolare, dei suoi “momenti musicali”, dei suoi “special” dentro ogni puntata?… Night and day…?
G.F. – Sì, Night and day, me l’hai rubato di bocca. L’idea per Night and day è nata qui a casa, in questo studio… c’era Mina che aveva in mente qualcosa del genere e cominciammo a parlare di pezzi, saltò fuori Night and day, io pasticciando un po’ sul pianoforte, lei che si fumava i cigarillos come nella sigla e che, ascoltando, si metteva in continuazione il lucido per labbra…. Poi abbiamo provato a “montare” questo pezzo e a me, sentendola cantare, qui, mi è nata quest’idea e… dico la verità che riascoltandola cantare, in seguito, ogni volta che ho rivisto passare quello spezzone in televisione, beh, è una cosa che… …C’è un momento, dove lei finiva di cantare, riprendeva l’orchestra e rientrava lei a cantare… emozionante, sì, emozionante. Perché? Perché era vicina alla perfezione. Senza modestia, io come arrangiatore e Mina come cantante. E come esecuzione. Perché era l’addio, fra l’altro, dell’orchestra, dal vivo, tutto dal vivo: l’orchestra suonava dal vivo sentendo Mina che cantava… e Mina sentiva l’orchestra, dietro, che suonava, per cui… c’è poco da dire…, unica, indimenticabile.
L.C. – E poi “Plurale”, “Mina quasi Jannacci”. Ti ricordi “Dream”?
G.F. – Sì, come no? Una sera che ci siamo divertiti, qua a casa, a fare “Dream” a più voci con lei, Alba, te, Tonino Amurri, Carletto Zoffoli e… chi c’era, ancora? Lelio?… Bello. Sì, “Plurale” è venuto poco dopo. Chissà, quella sera, forse… Quando cominciammo con “Plurale”, d’estate, in “Basilica”, lei era entusiasta. Al primo giorno facemmo una quantità di voci per il primo pezzo, non chiedermi quale fosse. Partimmo in volata con la prima voce, seconda voce… difficilissime… alla terza già mi disse “ti odio!” divertendosi come non mai… “fammele difficili, mi raccomando, altrimenti sai che noia” mi diceva.
L.C. – E quel “pezzo di teatro cantato” che è “Mina quasi Jannacci”?
G.F. – Lì mi sono preso tutta la carta bianca che mi aveva dato Mina sul progetto. E in questo senso credo di averla anche un po’ spaventata, nel senso di preoccupata, a un certo punto, con gli arrangiamenti che… Sai, per quella sua fissa, allora – figuriamoci – di essere una cantante commerciale… con dei doveri di semplicità, rigorosissimi… che lei ritiene una sacrosanta forma di rispetto per il pubblico.
L.C. – Tornando un passo indietro: 1972. Ti ricordi di un episodio che vi costò un po’, in polemiche?
G.F. – Sì, Puccini! Sì. Noi, noi tutti amanti della grande tradizione, del grande musical americano, sappiamo che i suoi autori si sono ispirati tutti al grande Puccini. Io mi sono permesso di fare l’arrangiamento di “Che gelida manina”, cantato da Dorelli e di “Mi chiamano Mimì”, cantato da Mina. Intendendo, “non” di dire che Puccini aveva scritto musica leggera, ma che tutta la musica dei grandi musical si era ispirata a lui. Non dimentichiamo che per l’America, che non ha avuto una storia musicale come abbiamo da noi, ‘600, ‘700…, questi grandi musicisti, questi grandi compositori, Kern, Gershwin, Porter, Rogers, ecc., sono stati l’equivalente dei nostri operisti italiani; solo che lo sono stati nel 900 e… in un altro ambito. Ma melodicamente, tutti quanti grandi figli, nipotini… del grande Puccini. Ho detto questa cosa, in televisione, in due parole, prima dell’esecuzione di Mina e Dorelli, e si è scatenato il putiferio. Alcuni, molto velenosi, hanno addirittura scritto che io l’avevo fatto per riscuotere i diritti d’autore – senza sapere che i diritti d’autore erano comunque di Puccini – e ignorando anche che non mi ero fatto nemmeno dare il compenso per quell’arrangiamento che io volevo fare per mia soddisfazione. Qualcuno mi ha tanto insultato che ho dovuto fare causa. E l’ho vinta. Però il critico che la perse, la causa, fu definito non punibile perché in età avanzata e personaggio di chiara fama.
L.C. – E dopo Puccini, chi ci ferma più?… ecco “Dalla terra”.
G.F. – Sì “Dalla terra” è stata un’altra esperienza molto bella, molto bella. È nata dopo che io e Mina ci eravamo persi di vista per un bel po’ di anni. Una mattina mi ha chiamato come se ci fossimo sentiti l’ultima volta il giorno prima; e dopo qualche giorno ancora, mi ha parlato della proposta. Abbiamo avuto critiche straordinarie, lei non è cambiata in niente, anzi, è migliorata. Anche se ha la stessa mentalità che aveva da ragazza. È sempre lei.
L.C. – Quindi non si può parlare di differenza tra la prima Mina e le Mine successive, le Mine evolute e in evoluzione?
G.F. – No, di differenza no. Si può parlare come…- facciamo dei paragoni, già che ci siamo…- come quando dicono “opera giovanile di Mozart”… però sempre di Mozart! Anche da giovane Mozart era già Mozart. Mina a diciannove anni, sì, però… Mina. C’era già tutta lei, dentro. Non mi piace la parola “maturità”, ad esempio, anzi mi spiace. Mi ricordo un passo da un libro, di Philip Roth, “nella vita si è giovani una volta sola, ma si può essere immaturi per tutta la vita”. Non c’è niente di peggio che diventare adulti. Si può migliorare, ma non si tratta nemmeno di quello: si tratta di tirare fuori da noi stessi quello che già abbiamo dentro. Non possiamo prenderlo da fuori. Non è che si matura: è che ci vuole tempo, ci vuole l’occasione, non si può scrivere tutto in un anno. E non è detto che quello che uno scrive quando ha sessant’anni sia migliore… è diverso, perché sono passati anni, ma non perché siamo maturati: …perché le esperienze, perché una ricerca continua, anche inconscia…
L.C. – Sto cercando di indovinare quali domande vorrebbero farti i nostri compagni di conversazione che stanno leggendo. Forse questa: Quando scrivi un pezzo per Mina: lo scrivi “furbo”, o la impegni, la metti al torchio?
G.F. – No, no, lei stessa mi chiede cose difficili, impegnative. Ci pensa poi lei a renderle, a farle sue attraverso varie chiavi d’esposizione. E anch’io quando scrivo musica su una storia, su un testo, so che dopo otto misure c’è un’esplosione, dopo sedici c’è un cedimento, ecc… E so come potrà interpretarla Mina, e allora… Si tratta di giochi d’intelligenza, di capire cosa ci vuole in quel momento per affidarlo ad un’intelligenza come quella di Mina che lo risolverà sicuramente al meglio. Come quando mi portarono il testo di “Parole parole”. Erano quattro pagine di “che cosa sei che cosa sei che cosa sei… parole parole parole… parole parole parole… parole parole parole parole parole …parole soltanto parole… caramelle non ne voglio più…”. Sapevo che dovevo dare un significato musicale alle parole che avevo sotto gli occhi, raccordare il significato delle note al loro. Ecco.
L.C. – Gianni, vorrei che parlassimo un po’ degli aneddoti di “Milleluci”, delle nottate a scrivere con i caffè ristretti di Alba per te e il copista, di Mina infaticabile, in sala B, ad assistere alle prove d’orchestra tutti i giorni. Ma finiremmo dopodomani e scriveremmo una nuova enciclopedia. Ne faremo una prossima intervista in futuro, magari, uno special.
G.F. – Quando vorrai.
L.C. – Il rapporto con Mina, duplice, musicale ed umano, come si concilia nei due aspetti, cosa produce, cosa offre, quanto impegna?
G.F. – Impegna molto; per quanto offre, del resto. Però c’è una cosa. Credo che Mina lo sappia, ma forse non lo sa fino in fondo: Mina può contare su di me come amico.
L.C. – Consideriamo che, assicurando fortunatamente con questo una varietà di nature al mondo, ci saranno pure alcuni ai quali Mina non piace. Potresti colmare, spiegandotelo e spiegandocelo, l’abisso che c’è tra i sostenitori irriducibili e alcuni suoi detrattori? Non per altro, ma, prima di lasciarci, vediamo di scalfire un po’ quest’immagine di perfezione, su.
G.F. – È difficile, da dire. Detrattori… I detrattori possono dire “non mi piace come canta Mina”, è un fatto loro, sarà una loro preoccupazione spiegarsi perché, se interessa loro saperlo… ma non possono dire che canta male, che interpreta male… che non è una grande natura musicale. …e allora io direi loro: “a scuola, tutti!”