IL “DIRITTO” DI UCCIDERSI

Liberal n. 37/1999

Cara Mina,
per motivi economici ho dovuto trascorrere le vacanze a casa. Pazienza. In mancanza di meglio, la televisione e i giornali mi sono stati compagni e ho notato che ciò che esce dallo schermo e dalla carta stampata è una sorta di allegria di Stato, come se l’Italia fosse il paese del divertimento a tutti i costi. Eppure i problemi non sono andati in vacanza e il sangue continua a scorrere. Anche nel luogo più importante della cristianità. Io sono credente e se un pensionato si uccide in San Pietro, questa non mi sembra soltanto una notizia di cronaca.
Luciana N., Bologna

Lui è uscito di casa, è andato fino alla stazione, ha fatto il biglietto e ha preso il treno per Roma. Solo. Solo come chi si è liberato di tutte le sovrastrutture che la vita ci costringe a trattenere sulla pelle e dentro la coscienza. Solo. Imprigionato dentro quel corpo che ormai aveva deciso non gli poteva più servire.
E in quel momento terribile, quando i giochi sono veramente finiti per sempre, di fronte alla punta di diamante della verità, l’uomo che cosa ha fatto? Ha individuato il luogo più vicino alla madre e ha scelto di andare là, dove la madre poteva capirlo, proteggerlo e perdonarlo, a restituirle quel corpo che ormai non voleva più. Dalla madre, da Dio. Da chi poteva capire il perché, anche meglio di quello che lui stesso aveva capito. Da chi già sapeva che lui aveva scelto di tornare a casa. A casa per fare l’ultima cosa importante di tutta la sua vita. Nell’amore e nel rispetto che, lui sapeva, la Madre non gli avrebbe negato. Un ritorno nel grembo, nelle braccia di chi l’avrebbe accolto senza giudicarlo, per quello che è.
Non so. Mi sembra uno della mia specie, della mia razza, quest’omino così pauroso e così coraggioso. Non perché io abbia mai pensato di mettere in atto una cosa del genere, ma perché mi è arrivata come un’ondata di tenerezza, di commozione incontrollabile, quando ho saputo di lui. E per la prima volta non ho pensato alle solite cose, come la vigliaccheria del gesto e il grave peccato, che di solito accompagnavano la notizia di un suicidio.
Ecco, persino la parola suicidio mi sembra inadeguata. Fatico un po’ a scriverla, è come se avvertissi qualcosa di troppo definitorio e, insieme, di troppo indefinito, quasi che la realtà che essa intende significare si trovasse altrove.
Mi sembra che lui mi abbia rivelato, mi abbia fatto capire che forse bisognerebbe ritoccare l’atteggiamento che noi abbiamo sempre avuto nei confronti di chi decide di togliersi la vita. Nel più grande e profondo rispetto per tutte le manifestazioni umane. Persino questa. Nella comprensione delle enormi difficoltà, dello schiacciamento sistematico che la nostra brutta epoca esercita spietatamente su ognuno di noi. Forse, oggi, dobbiamo accettare che qualcuno decida di tirarsi fuori da questa violenta, insensata gara senza nessun premio. Perché non rendersi conto che dovrà pur occorrere una punta di consapevolezza per compiere questo passo?
Non si tratta di depenalizzare il suicidio, ma di riconsiderare dal punto di vista etico un atto fino ad ora giudicato esclusivamente reato o peccato. Mi domando se oggi, dato questo contesto storico, l’uomo non sia caratterizzato da una minore forza di sopportazione, da una nuova interpretazione dell’inaccettabile e, quindi, se il suicidio non meriti una ridefinizione. In questa epoca è più difficile, per una parte degli uomini, ottenere un conforto terreno e umano e non vi è una contemporanea crescita delle soluzioni spirituali. Nell’atto di Benedetto mi è sembrato apparisse la sintesi di questo problema.
Non so. Chiederei aiuto. Se non fosse azzardato, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa il Papa, non tanto come interprete di una dottrina o di un’istituzione, che non ammette sconti, ma proprio come uomo di fronte ad un altro essere umano. Come uno di noi. Vorrei sapere se è una deroga alla propria dignità, e quindi una grave colpa, prendersi il diritto di uccidersi. O se non è forse più disumano accettare quello che ci viene somministrato perversamente, quotidianamente nel totale disprezzo della nostra reale essenza.
Non sapevo che un atto di violenza compiuto in una chiesa richiedesse una nuova consacrazione. Ma così non è stato. E questo mi permette di capire, forse, un pochino di più. Sotto le volte solenni di San Pietro, solo un rito di suffragio, una preghiera per Benedetto e una richiesta di perdono. Perdono per lui, ma soprattutto per noi. Per la nostra indifferenza, che probabilmente è la causa non ultima della sua decisione di andarsene.

Generic filters
Exact matches only
Search in title
Search in content
Search in excerpt
Filter by Categorie
Articoli
Anni 1950
Anni 1960
Anni 1970
Anni 1980
Anni 1990
Anni 2000
Anni 2010
Anni 2020
Dicono di lei
Mina Editorialista
La Stampa
Liberal
Vanity Fair

9 Settembre 1999

LEGGI ANCHE

Vanity Fair n. 6/2015

Ci siamo detti tutto Ci siamo detti tutto. Mi avete portato parole e storie di vita, sperando che ad accoglierle ci fosse un sentimento vagamente materno. A volte lo è stato, quasi per un senso di immedesimazione. Altre volte, se è prevalso il mio carattere tranchant,...

leggi tutto

Vanity Fair n. 5/2015

C’è ancora spazio per i sogni? Cara Mina, in questo tempo di crisi nera la venticinquesima maratona televisiva di Telethon, sulle reti Rai, conclusasi il 14 dicembre 2014, ha permesso di raccogliere 31,3 milioni. Tu che idea ti sei fatta di questa cosa? Guglielmo Dico...

leggi tutto

Vanity Fair n. 4/2015

Un presidente della Repubblica speciale Cara Mina, ogni volta che sono in macchina con il mio ragazzo e mettiamo “Acqua e sale”, cominciamo a cantarla. Ma prima lui mi ricorda: “Ok, parti tu, però io faccio Mina”. Rido come una pazza e penso a che cosa penseresti se...

leggi tutto

Vanity Fair n. 3/2015

Sono l’ultima dei sognatori Cara Mina, mentre c’erano i funerali di Pino Daniele, i ladri hanno scassinato la porta della sua casa in Toscana. Gli affari non si fermano mai. Sbigottita Facciamo finta che fossero due, tre quattro, non so, estimatori del talento puro di...

leggi tutto

Vanity Fair n. 2/2015

Ma amore non vuol dire social network Cara Mina, come stai? È guarita la tua gamba, infortunata l'anno scorso? Camminando per Milano mi è venuta un'idea. A volte in città s'incontrano ragazzi che suonano per strada o in metro, e alcuni sono davvero bravi. Suonano...

leggi tutto
error: