Indro Montanelli – Il fragile segreto di Mina

Di Indro Montanelli
04.02.1961

Due forze sembrano sostenerla, l’istinto e l’ignoranza. Ma poi non è difficile capire che è una calcolata finzione così astuta da sembrare la verità.

Roma, febbraio. Mi dicono che qui a Roma, i campioni di Sanremo venuti a ripetervi le loro imprese canore, hanno avuto sfortuna. Uno di essi, che si distingueva in languidi allungamenti di vocali accompagnati da gallinacee revulsioni di pupille, si è sentito contraccambiare un acuto da un rumore su cui non c’era da equivocare. Il vero pubblico di Roma, quello popolare, ha un linguaggio incisivo, anche troppo, specie quando sospetta che lo si voglia corbellare. E coi protagonisti di Sanremo, musicanti e cantanti, aveva il dente avvelenato. Solo per la Mina ha fatto eccezione e, pur con qualche guardinga riserva, l’ha lasciata passare.                                                                                                                       Mi credete se vi dico che la Mina non l’avevo mai vista e non sapevo con esattezza chi fosse, prima che l’altra sera il teleschermo me ne introducesse in casa, di prepotenza, il viso e la voce, con accompagnamento di mille bolle blu? La filastrocca mi parve melensa assai, in tono con tutto il resto; motivi, parole, messinscena e spettatori (ma che facce ci sono, perdio, in Italia! Da far pensare che la bomba atomica, poi, in fondo, non sarebbe affatto quel flagello che dicono? Però quel demonio di ragazza ce la faceva, anche con le bolle, o malgrado le bolle. Se non sempre ascoltare, si lasciava almeno guardare. E se non spensi il televisore dopo due o tre numeri impegnati in una nobile gara di clamorosa insulsaggine, fu solo nella speranza di vedervi riapparire lei, la Mina. 
Cos’ha questa ragazza per “incontrare” tanto? Non è più bella di molte altre, non canta meglio di molte altre. Ma credo che più di tutte le altre abbia azzeccato il momento di nascere. Certo i suoi genitori non furono l’unica coppia italiana ad avere una figlia nel 1940. Però si direbbe che siano stati gli unici a non darle altro che il nome di battesimo. Mina ha l’aria di non ricordare niente di ciò ch’è successo nel mondo prima del 1940 e di non avere nessun’ansia di ciò che potrebbe accadere dopo il 1961. Se non ne possiede una ancora viva per casa, certamente ignora di aver avuto una nonna e non si è mai chiesta come vivesse costei, quando era ragazza. Forse è convinta che il mammut risale al 1914, che Cristoforo Colombo scoprì l’America nel 1921 e che Mussolini fu il diretto successore di Romolo e Remo. Quando si parla di musica classica probabilmente pensa a Modugno. E quando dice “il futuro”, allude alla Pasqua di quest’anno. Canta canzonette perché è nata in un’Italia che nelle canzonette, da un paio di decenni a questa parte, ha riposto i suoi ultimi orgogli. E le canta in quel modo perché non sospetta nemmeno che si possano cantare in un altro. Non è che segua la “moda”. L’ha nel sangue perché è nata con lei, e forse essa non immagina nemmeno quanto in una “moda” ci sia di temporaneo e di cangevole. Anzi, forse crede che la “moda” sia l’unica cosa stabile e inalterabile della vita. Mina interpreta ala perfezione il suo tempo, i suoi gusti, i suoi disgusti e i suoi cattivi gusti, perché non ha il più lontano sospetto che ne siano esistiti o ne possano esistere altri. C’è dentro fino ai capelli senza memoria del passato e senza attesa dell’avvenire. Due grandi forze la sostengono, due imperforabili corazze la proteggono: l’istinto e l’ignoranza. O perlomeno così ho creduto dall’altra sera, quando la vidi e la udii in televisione per la prima volta, fino ad oggi quando mi è capitato di leggere l’intervista che ha dato a una mia bravissima (e diabolica) collega. 
Ahi, ahi, ahi, che delusione le sue parole, se sono state fedelmente registrate (ma avevano tutta l’aria di esserlo)! E non perché contraddicano alle mie supposizioni. Ma anzi le confermano con sì calcolato impegno da ispirare perlomeno qualche dubbio. Sentitela come parla della sua ignoranza per magnificarne la vastità: “So ad esempio che in Francia esiste De Gaulle, un tipo lungo col naso, che in Russia esiste Kruscev, che in America c’è un nuovo ragazzo che chiamano Kennedy, e poi c’è Fidel Castro. Il Kennedy ho visto che sbaglia un occhio, però non c’è male: quel ciuffetto gli dona. Il Kruscev non mi piace. M’hanno detto che si leva una scarpa e la batte sul tavolo quando vuol la parola, che guitto. E poi è brutto, quella moglie grassa lo rende ancora più brutto. Il Fidel, invece, mi fa semplicemente impazzire. Non so cosa abbia fatto, questo Fidel. So che ha accoppato un mucchio di gente e che è un simpatico: con quella barba, quella camiciona. Pensa se non avesse la barba, se si taglia la barba è fregato, lo fanno fuori in due giorni. Poi so che c’è una nave corsara alle isole Verdi, dove sono le isole Verdi? L’idea di una nave corsara mi fa semplicemente impazzire…”. 
Tutto questo discorso e altri ancora Mina li fa dopo aver dichiarato che la sera va a letto con un orsacchiotto di pezza senza il qual non può dormire, e che in vita sua, salvo Paperino, non ha letto nulla, ma proprio nulla di nulla, nemmeno un giornale, perché non ne ha tempo, perché non ne ha voglia e perché vuole vedere le cose con gli occhi suoi, non con quelli di chi scrive. Sarà. Ma l’ignoranza quando è vera, autentica, a diciotto carati, parla di sé stessa in ben altro linguaggio. Non ha questa tracotanza, questa padronanza di sé, questa spavalderia, questo orgoglio. Anche quando non è accompagnata dal pudore, evita di atteggiarsi a blasone e di prendere di petto la gente. Anche quando non cerca scuse, si affida alla comprensione e all’indulgenza dell’interlocutore. Voglio dire insomma che l’ignoranza di Mina puzza di letteratura lontano un miglio. E lasciamo stare i testi classici della “signorina snob” che con l’ignoranza vera possono anche tranquillamente convivere. Ma c’è dentro ben altro. Ci sono i più elaborati e sofisticati pezzenti del neorealismo, gli eroi della “nouvelle vague”, certi personaggi di Pasolini e di Testori, tutti i rifiuti di Miller, di Tennessee Williams, e perfino del vecchissimo Saroyan. E c’è soprattutto Lolita: una Lolita che, avendo accuratamente letto il romanzo omonimo e imparato quale potere d’imbambolamento le sue bambole esercitassero sugli uomini maturi quando aveva tredici anni, ci s’è volutamente fermata, e non c’è barba di calendario che riesca a smuoverla di lì. Intendiamoci: io non credo affatto che Mina tutto questo se lo sia proposto con freddezza, dopo averne misurato il passivo e l’attivo come un esperto capitano d’industria quando fonda un’azienda o lancia un prodotto: sebbene il sangue non sia acqua e le sue origini paterne possano farci sospettare anche questo. No, lo fa d’istinto. Ma l’istinto, come spesso capita specialmente alle donne, non è disgiunto da calcolo, e nessuno, nemmeno lei, potrebbe dire dove finisce l’uno e comincia l’altro. Anche la sua ignoranza non è che sia tutta finta, anzi sono sicuro che ha solide basi. Ma sono ugualmente sicuro che Mina, sulla propria ignoranza possiede una eccellente cultura, l’ha studiata a fondo, ne conosce a meraviglia tutta l’estensione, tutti gli anfratti, tutte le sfumature, tutte le risorse, e chissà con quale studio, con quanta diligenza e pazienza, lei che non ha tempo e voglia di far nulla, ha affinato l’arte di sfruttarli, di valorizzarli, di “montarli”. “Dimmi – ha chiesto a un certo punto a quella mia collega – chi era questo Maometto? Che nome simpatico. Se un giorno avrò un figlio, voglio chiamarlo Maometto”. 
Eh via, la signorina Mina mette un po’ a dura prova la nostra buonafede. Noi abbiamo fiducia, una profonda fiducia nella sua ignoranza. Siamo persuasi che essa ne è miliardaria. Siamo pieni di ammirazione per la generosità con cui la profonde. Siamo disposti ad avallare senza discutere tutte le cambiali che su questo solido capitale essa rilascia. Siamo pronti perfino ad ammirarla, a inchinarci con rispetto di fronte a essa, come di fronte ad un marchio di superiorità intellettuale e morale. 
Ma fino a Maometto, in nome di Allah, il passo è un po’ lungo per qualunque gamba. Avesse detto, che so, Budda siamo già fra India e Cina, un po’ più lontani, Avesse citato qualunque altro personaggio da Vercingetorige a Mao-Tse-tung, da Giulio Cesare a Napoleone, le avremmo fatto credito. Ma Maometto… Peccato. Avremmo creduto proprio volentieri alla totale e autentica sprovvedutezza di questa ragazza che sa adornarsene con tanta grazia, finché canta soltanto. Ma quando parla, casca l’asino, o meglio raglia con voce così tonitruante da ispirarci qualche dubbio sulla sua identità. Ciò non toglie nulla alla sua bravura che è grande. Serve solo a farci capire cosa sia la “naturalezza” di questi ragazzi d’oggigiorno che la sventolano come una bandiera, se ne inorgogliscono come di una loro personale conquista, e ce la sbattono in faccia a mortificazione delle nostre ipocrisie. Dio quanti libri devono aver letto Mina e i suoi coetanei, per imparare a parlare come analfabeti, a quale dura disciplina devono sottomettersi per mostrarsi così disinvolti, quante bugie devono dire a sé stessi e agli altri per apparire così sinceri! Mina è di gran lunga la meglio riuscita, e perciò è giusto che abbia il successo che ha. Ha messo a servizio della sua ingenuità una furberia così consumata che non c’è verso di coglierla in fallo. Questa Lolita tardiva è in realtà una precoce tardona. È così finta che sembra proprio vera, e non mi stupirei affatto se si venisse a sapere che dorme davvero con l’orsacchiotto di pezza e che anche con lui fa per tutta la notte la Mina abbracciandolo e cacciandolo, vezzeggiandolo e strapazzandolo, adescandolo e respingendolo, adorandolo e odiandolo, per tenersi in allenamento. 
E sì, peccato che sia scivolata su Maometto. Aveva studiato tanto e così bene per guadagnarsi quella laurea in ignoranza…

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