Liberal n. 2/2000
Cara Mina,
che cosa non si fa pur di essere sotto gli occhi dei riflettori? Ho letto con un senso di fastidio la notizia di un giovane americano che rimarrà chiuso per un anno nella sua casa sotto lo sguardo impietoso di una telecamera che trasmetterà la sua vita attraverso Internet. Sempre via Internet parlerà al mondo e comprerà tutto il necessario per vivere. Dall’altra parte dell’Oceano, invece, 36 persone, tra cui 8 bambini, dovranno sopravvivere per un anno su un isolotto deserto al largo della Scozia, e le loro peripezie saranno trasmesse dalla BBC. La follia dell’apparire fa brutti scherzi.
Adriano M., Napoli
Che cosa hanno in comune un eroe cibernetico, che sceglie una volontaria clausura in una casa trasformata in uno studio televisivo, e trentasei matti che vanno a vivere su un’isola flagellata dai venti dell’Atlantico senza energia elettrica e senza acqua corrente? Niente. Da una parte l’isolamento più totale, con la possibilità di ordinare via Internet tutti i generi di necessità che poi verranno recapitati a domicilio. Dall’altra la regressione a novelli Robinson Crusoe, costretti a costruire delle turbine a vento per produrre energia, ad attingere l’acqua piovana da qualche pozza voluta dal cielo, a dormire in una casa diroccata. Il massimo della modernità fornita dalle diavolerie telematiche contro il tentativo, vecchio di secoli e ormai reso troppo facile dalle conquiste della tecnica, di sopravvivere sconfiggendo le forze estreme della natura.
Niente in comune. Tranne che per un piccolo particolare: le telecamere che amplificheranno le noiose giornate del cibernauta americano e le imprese di sopravvivenza dei trentasei esploratori di un angolo di mondo ormai abbandonato dagli uomini. Nell’appartamento di Dallas telecamere piazzate in ogni stanza e pronte a rimandare sulla Rete tutta la quotidianità del nostro speleologo dell’informatica, murato vivo in un mondo claustrale e nello stesso tempo con le pareti di vetro. Sull’isolotto di Taransay un solo operatore della BBC, poveretto, al servizio di un programma dall’ovvio titolo “Naufragio 2000” che partirà questa settimana.
Troppo facile constatare che se non fosse per quelle telecamere nessuna di queste imprese sarebbe stata pensata e tantomeno attuata. In questi casi, come in moltissimi altri, è il mezzo che dà vita e forma al contenuto. E i nostri eroi, adepti più o meno inconsapevoli della religione della visibilità ad ogni costo, pagano il loro prezzo alla consumabilità della loro icona. Se le loro libere scelte di compiere iniziative al limite della follia fossero collocate nel cono d’ombra del privato, nel fuoricampo o nel fuoriscena non raggiungibili da alcuna ossessione massmediologica o telematica, non potrebbero esistere. Certo, sarà vita reale quella dei trentasei Crusoe che dovranno coltivare ortaggi per sopravvivere. Ma la mossa, la spinta che origina quest’avventura ai limiti dell’impossibile è quella dell’irrealtà dell’immagine.
Troppo facile anche il collegamento con “The Truman Show”, il film di Peter Weir che mette in scena un uomo che è la star inconsapevole di una colossale soap opera trasmessa in diretta in tutto il mondo. Il paese in cui Truman vive è in realtà un gigantesco set cinematografico popolato solo da attori professionisti, compresa la moglie. Una volta fiutato l’inganno, Truman cerca di uscire dalla condizione di visibilità totale. Ma anche qui la differenza è di assoluta rilevanza. Truman è vittima inconsapevole di una candid camera planetaria che dispensa immagini da fiction, costruite sul nucleo della sua “vita vera”. E quando se ne accorge, cerca in tutti i modi di uscire. Invece i nostri eroi cercano in tutti i modi di entrare… hanno scelto di esporsi alle telecamere. Forse perché sono convinti che l’agire, quotidiano o estremo che sia, ha senso solo se è visibile.
Molti degli inglesi che si sono fatti scaricare dai canotti sull’isola di Taransay hanno dichiarato che hanno deciso l’avventura estrema per sconfiggere la noia. Meglio l’età della pietra, piuttosto che le giornate in ufficio, le chiacchiere al pub, le pallose serate davanti alla tv a sorbirsi le chiacchiere sul quarto figlio di Cherie Blair o sul Millennium Bug. E quindi si esce dalla virtualità di una vita piatta e di un mondo dominato dalle immagini artefatte della televisione per entrare in un mondo apparentemente reale, ma manovrato dalla sala di regia.
Scrisse Montale: “Forse un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco. Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto alberi case colli per l’inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto”. L’aria di vetro è quella della casa di Dallas e dell’isola di Taransay. Un’aria arida, dove anche le cose concrete sono solo inganno. Tutto questo non mi sembra né deprecabile, né incomprensibile, né pazzesco. Mi sembra semplicemente ridicolo.