Oriana Fallaci – La sirena dei vent’anni

Oriana Fallaci – L’Europeo
05.02.1961

Ma chi è dunque questa ragazza che in nemmeno due anni è diventata una specie di mito degli italiani giovani e vecchi, poveri e ricchi, babbei e intelligenti, comunisti e cattolici, e in un minuto guadagna quanto guadagna un magistrato in un mese (centocinquantamila rotonde), in una settimana colleziona sei copertine di settimanali autorevoli, e se dite di non averla mai vista cantare vi trattano alla stregua di un ignorante, di un traditore della patria o di un cretino? È un tipo molto, molto singolare. Io la guardo. In questa Sanremo dove affoga tutto lo squallore di un Festival denso di urli, di vanità provinciali, di peccati mediocri che tuttavia non la toccano, e più la guardo meno capisco chi è. A momenti il suo bel viso è innocente e mi sembra di volerle bene come a una sorellina che si deve difendere perché non sa dire bugie; a momenti il suo bel viso è diabolico e mi sembra d’essere menata per il naso dalla donna più astuta con la quale abbia mai avuto a che fare. A momenti mi sembra degna di tutto l’entusiasmo che il Paese le dedica, a momenti mi sembra ridicolo dedicarle questa seriosa attenzione. E l’unico stato d’animo che resta intatto, nel dubbio, è una gran simpatia per il suo personaggio nel quale in un certo senso riassume l’enigma di una generazione da cui ci divide un invalicabile abisso.
La Mina è sdraiata, non senza languore, su un letto d’albergo, accanto all’abito nero, da diva, che indosserà per cantare con voce da intenditrice Io Amo, Tu Ami, e fa le bolle di sapone con un pesciolino di plastica rossa di cui mi ha spiegato, compunta, il funzionamento. “Si prende un poco di shampoo, ma poco, come se tu dovessi lavare la testa a una pulce, si versa nella gola del pesciolino, si gira la manovella che è nella pancia del pesciolino, e intanto si soffia tenendo la coda tra i denti come se fosse una pipa. La coda del pesce, s’intende. Tu fumi la pipa? Nemmeno io, il babbo non vuole. Pronto, chi parla? Maledizione al telefono. Chi è lei, cosa vuole? Il giornale? Dimmi giornale. Se io sposo Maurizio Arena? Dico, sei pazzo? E poi io sono minorenne. La volete capire che sono minorenne? Dunque, si soffia nella pancia del pesce…”. Insieme al pesce, alla mamma, un manager che la sorveglia in assenza del padre, industriale a Cremona, la Mina ha portato un orsacchiotto che le serve la sera per addormentarsi. La sera, Mina non dorme se non ha l’orsacchiotto tra le lenzuola e per quanto stravagante possa sembrare in una ventenne cui hanno attribuito trentatré fidanzati e canta le canzoni d’amore come se sapesse quello che dice, la notizia è esatta: la conferma anche il cameriere che la mattina le porta il caffè. L’orsacchiotto è di nylon azzurro, la mamma è una giovane donna graziosa che la segue con aria smarrita, quasi non realizzasse bene quel che succede, il manager è un signore coi capelli bianchi che assomiglia al defunto Mitropoulos, si chiama Gigante, e da stamani riceve telefonate di un ministro, il quale vuole la Mina a Montefiascone dove “il popolo la reclama a gran voce”. Che gli rispondo, Mina?” chiede Gigante mentre l’ombra di questo ministro turbato da problemi così concettosi come portare la Mina a Montefiascone (ditemi: come se la cava l’Italia se la Mina non va a Montefiascone su invito ufficiale del governo italiano?) si allunga sul letto. “Rispondigli che me ne frego”, dice la Mina e i suoi occhi marroni hanno un’espressione decisa: se ne frega davvero. Non sa nemmeno chi diriga il governo, figuriamoci se sa chi è questo ministro: beata lei. Non sa che Nenni è socialista e non sa che in Arabia le musulmane portano il velo: “Dimmi, chi era questo Maometto? Che nome simpatico! Se un giorno avrò un figlio, voglio chiamarlo Maometto”. Ciò che apprese a scuola quando studiava ragioneria lo ha dimenticato, né intende colmar la lacuna. Due mesi fa, quando Mario Soldati la intervistò alla TV per l’inchiesta sugli italiani che leggono, rispose senza imbarazzo: “Io leggo solo Paperino, signore”. Allora un giornalista le rinfacciò di non essere originale, molti intellettuali sono cultori di quel testo classico e lei disse con meno imbarazzo che mai: “Davvero? E lo capiscono?”. “Vedi”, spiega la Mina grattandosi un piede, “La gente dice che bisogna leggere i libri. Tanto per cominciare io non ho tempo. Poi, non ho voglia. I libri finiscono sempre con l’influenzarti. Tante cose che la gente dice sono luoghi comuni perché la gente le ha lette sui libri, Io invece le cose voglio scoprirle da me: con gli orecchi e con gli occhi; per questa ragione non leggo neppure i giornali. La mia ignoranza è più profonda di un pozzo, tutto quello che so, lo so per sentito dire. So ad esempio che in Francia esiste De Gaulle, un tipo lungo col naso, che in Russia esiste Kruscev, che in America c’è un nuovo ragazzo che chiamano Kennedy, e poi c’è Fidel Castro. Il Kennedy ho visto che sbaglia un occhio, però non c’è male: quel ciuffetto gli dona. Il Kruscev non mi piace: m’hanno detto che si leva una scarpa e la batte sul tavolo quando vuol la parola, che guitto. E poi è brutto, quella moglie grassa lo rende ancora più brutto. Il Fidel, invece, mi fa semplicemente impazzire. Non so cosa abbia fatto, questo Fidel. So che ha accoppato un mucchio di gente e che è un simpatico: con quella barba, quella camiciona. Pensa se non avesse la barba, se si taglia la barba è fregato, lo fanno fuori in due giorni. Poi so che c’è una nave corsara alle isole Verdi, dove sono le isole Verdi? L’idea di una nave corsara mi fa semplicemente impazzire. Pronto, chi parla? Accidenti al telefono. Bindi, tesoro, che vuoi? Sei stanco? Ma tu sei sempre stanco, che vuoi? Non sai come prendere il ‘do’ questa sera? E non lo pigliare, figlio mio, chi se ne frega del ‘do’? Ma guarda un po’ se la gente si deve preoccupare del ‘do’!”. Il Bindi è giunto a Sanremo con una pelliccia di foca foderata in visone, uno scrigno d’avorio con un brillante nuovo che guarda quando è molto triste, una canzone che lo preoccupa per via di quel ‘do’ e, come gli altri trentanove colleghi che cantano, passa il suo tempo a sognare di vincere il Festival. Alla Mina tutto ciò sembra assurdo. “Chi se ne frega del Festival, se lo vinco o lo perdo? Gli altri son lì che si scannano e soffrono come se avessero la tosse o il morbillo, passano le giornate a preoccuparsi su un ‘do’, come se da quel ‘do’ dipendesse tutto il loro futuro, si consumano in gelosie e dispettucci, io non li capisco. Mi sembrano un branco di matti. Che bisogno c’è di darsi tanto daffare? Io non me lo sono mai dato. Io non sono come loro, se canto è perché mi va di cantare, le giornate non le passo a tormentarmi su un ‘do’. Non conosco la musica, non l’ho mai studiata, non intendo studiarla. Lo sai come ho fatto a diventare la Mina? C’era una festa in un villaggio che si chiama Rivarolo del Re e ci cantavano la Flo Sandon’s e Latilla. Io sono andata alla festa e a un certo punto mi è venuta una gran voglia di salire sul palcoscenico. Così sono salita e mi son messa a urlare. Quelli hanno applaudito e la sera dopo son tornata, insieme alla mamma”. La signora Mazzini sospira. “Una vergogna, signorina, una vergogna. Ora mi ci sono abituata un pochino ma avrebbe dovuto vedere che faccia avevo quando la mia bambina urlava e si dimenava a quel modo. Almeno cantasse come Nilla Pizzi o Flo Sandon’s, perbenino, con la voce educata. Macché: ha bisogno di fare tutte quelle boccacce. D’altra parte, cosa vuol farci, io e mio marito siamo genitori moderni, non vogliamo intralciare la carriera dei figli e sentirci rinfacciare, un giorno, che gli mettemmo i bastoni tra i piedi. Quando la Mina disse che voleva cantare, mio marito le comprò gli strumenti: credeva che cantasse in casa. Invece la Mina mise su un complessino e andò a Milano per cantare alla Sei Giorni. E il risultato lo vede qual è? È che anche l’altro figlio s’è messo a cantare. Ha messo su un’orchestrina e si è ribattezzato Geronimo. Dico, le sembra serio chiamarsi Geronimo e cantare nei cabaret invece di diventare ingegnere nell’azienda del padre? Mio marito dice: “Abbi pazienza, gli passerà”. Ma alla Mina non è mica passata. Ah, questi giovani io non li capisco. A vent’anni io ero una ragazza tranquilla che pensava solo a sposarsi e ad avere bei figli. Avevo paura di tutto. La Mina invece non ha paura di nulla. Sempre tranquilla, sicura di sé”. Gli occhi intelligenti di Mina seguono la madre con indulgente ironia. Paura di che? La sua generazione non sa cos’è la paura. È nata durante la guerra ma non ha visto la guerra, non ha mai sofferto la fame né imposizioni ridicole. È cresciuta in un’epoca in cui non mancava la cioccolata e ha cominciato a meditare sul mondo quando le belle ragazze diventavano dive per aver vinto un concorso in costume da bagno. Il mondo che lei conosce è un mondo che guarda al successo come misura di vita e nel quale il successo può arrivare dalla mattina alla sera: purché tu abbia una faccia tosta e graziosa. “La mamma è un tesoro”, dice la Mina smettendo di far le bolle e accendendo una sigaretta. “Ma è anche un’ingenua. Come si può pretendere che io sia come lei? Io sono cresciuta nell’agiatezza, sono una ragazzaccia viziata, non sono venuta su con quei bei principini di un tempo. E quel che mi accade non serve certo a farmi diventare migliore. È bastato che facessi due strilli perché subito mi si inducesse a firmare un contratto e i giornali incominciassero a parlare di me. All’inizio credevo che solo i bambini facessero il tifo per Mina, ora vedo che lo fanno anche i grandi. Poi credevo che solo le persone ignoranti si divertissero a sentirmi cantare, ora vedo che anche gli intellettuali mi ascoltano. È colpa mia se il mondo è popolato di pazzi? Vendo cinquemila dischi per giorno, mi offrono mezzo milione per cantare sei canzonucce: sono io che lo chiedo? Lo so benissimo che non è serio vivere urlando “Lalala, ya ya ya, buon dì, amore mio buon dì, c’è tanto sole nel mio cuor, il mondo è bello ancor”. Ma io non lo considero mica un lavoro. Lo considero un divertimento, uno svago, e il fatto che mi paghino tanto mi riempie di infinito stupore, perfino di un vago senso di colpa. La gente dice che sono avida di denaro, ti giuro che dei quattrini io me ne frego. Non so mai quel che guadagno, non so nemmeno quello che ho in banca: fanno tutto mio padre e il mio manager. Forse è per questo che ho avuto tanto successo: la gente povera e disgraziata nessuno la vuole. Invece se uno è ricco e non chiede nulla, tutti lo cercano”. La Mina s’è infilata una pelliccia nera di foca che il papà le ha comprato insieme al visone perché il papà non vuole che i soldi della Mina siano spesi; perciò, la mantiene come se non possedesse una lira e, così avvolta in quel pelo lucido e nero, sembra finalmente una diva. Eppure, non si comporta come se fosse una diva. C’è in lei un’insospettata saggezza che non si rivela soltanto dai discorsi che fa ma dal modo in cui agisce. Ad esempio, porta la pelliccia non come una che porta la pelliccia per dimostrare che la possiede ma perché la pelliccia serve a riparare dal freddo e la scorsa settimana, mi dicono, voleva comprarsi il cincillà, ma bastò che il babbo le dicesse due paroline all’orecchio perché rispondesse “Va bene” e non ne facesse di nulla. La sua fama è paragonabile in Italia a quella che Elvis Presley gode in America: ma io ho visto come si comporta Elvis Presley. Quando esce dall’albergo si fa circondare da una turba di ragazzacci che urla: “Arriva Elvis Presley”, poi firma l’autografo con il rossetto delle sue ammiratrici sporcando loro il vestito. Lei, invece, esce dall’albergo come si conviene a una signorina di buona famiglia e gli autografi li firma con la sua penna d’oro, dopo aver ringraziato chi glieli chiede. La sua Mercedes è guidata da un autista messo a disposizione dal babbo, ma lei si vergogna a tenere l’autista e con voce gentile gli spiega che può andare a passeggio: guida bene da sé. Sulla strada di Bordighera, quando gli agenti della stradale la fermano perché ha fatto un sorpasso sbagliato, consegna docile i suoi documenti e dà le generalità senza atteggiarsi a offesa. “Mazzini Mina, di Mino, nata a Busto Arsizio il 25 marzo 1940, abitante a Cremona, di professione cantante”. Gli agenti della stradale sono rossi per l’emozione, chi avrebbe sognato di trovarsi a tu per tu con la Mina, e magari eviterebbero di farle anche la contravvenzione. Ma la Mina porge secca il denaro e poi dice rimettendosi in moto: “Mi scappa da ridere dire “di professione cantante”. Io non sono una cantante, sono una che canta”. La frase le piace, l’ha inventata da sé e la ripete in ogni occasione: in realtà è una frase intelligente come quasi tutte le cose che dice. “Vedi, essere cantante significa un’altra cosa. Cantante è la Piaf, è la Mahalia Jackson, è la Fitzgerald. Te lo devo dire? Qualche volta ho voglia di andarmene via dall’Italia, e diventare una cantante sul serio. Potrei andare in America, penso, ma l’America non m’interessa: è come se ci fossi già stata. Allora penso che potrei andare a Parigi e ricominciare daccapo ma questo mi costringerebbe a studiare e io non voglio studiare: sono troppo pigra e viziata. Allora penso che mi piacerebbe cambiare mestiere, ma tutti i mestieri richiedono una disciplina che non so impormi. Vorrei fare la giornalista, ad esempio, e girare il mondo, andare in quei posti dove c’è quel Maometto e vedere le donne col velo, oppure andare in Russia a vedere se è vero quello che dicono, come fanno a vivere tutti schedati: ma lo sai che fatica. La gente come me non è abituata alla fatica. E poi non so vedere le cose: sono stata a Parigi e tutto ciò che ricordo è un gran freddo, non mi sono accorta che Parigi era bella. Sono stata a Malta e Malta era bella però mi ricordo soltanto del mare e questa luna enorme che stava sospesa sul mare. Sono stata a Berlino ed era un paese che si poteva trovare ai grandi magazzini, non mi interessava per niente. Come farei a scrivere le cose? Io non ho idee, ho solo sensazioni violente che si spengono subito. Per esempio, lo sai che impressione m’ha fatto sapere che avevano lanciato quel coso, come si chiama, lo sputnik? M’ha dato fastidio pensare che l’avrei guardato credendo che era una stella e quello mi fregava perché non era una stella. Non mi piace esser fregata”. L’auto si ferma davanti al negozio di un parrucchiere e il Nino che è venuto apposta da Milano per pettinare la Mina le corre incontro tutto eccitato e vestito per l’occasione di blu. La Mina gli porge la mano con la freddezza dei giovani che, pur essendo poetici al punto di non sopportare lo sputnik tra le stelle, non vogliono farsi fregare da nessuno, nemmeno dalle stelle, ed entra nel negozio con passo sicuro, affrontando con indifferenza le occhiate delle clienti che tolgono la testa dal casco e sussurrano beate: “La Mina, oh la Minaaaaa!”. Il Nino è tutto turbato: pettinare la testa di lei che canta a Sanremo. Le mille bolle blu! Le clienti fanno lo stesso. Cosa può esserci di più importante, oggi, in Italia, del fatto che la Mina canti a Sanremo Le mille bolle blu? Intanto la notizia che la Mina è a Bordighera si spande, fuori dal negozio si addensa una folla che minaccia di rompere i vetri, la polizia deve venire ad arginarla, una vecchia signora si fa largo col nipotino per portare alla Mina un gran mazzo di fiori. La vecchia signora è pallida di eccitazione: “Ecco”, dice spingendo il nipotino col mazzo di fiori, quando sarai grande potrai dire che hai conosciuto la Mina”. La Mina prende i fiori, ringrazia, e non si capisce bene se consideri l’omaggio come una cosa cui ha un sacrosanto diritto o se dentro ne rida con scherno: subito dopo tira fuori il suo album di Topolino e si abbandona a quella santa lettura. “Come essere umano”, usa dire, “io ho diciotto anni: l’età che avevo quando questo miracolo o, se preferite, questa malattia s’è abbattuta sopra di me. Quando una ragazza di diciotto anni si vede trattata senza ragione come se fosse la Callas, qualcosa si arresta nel suo sviluppo mentale. Appena la gente si sarà stancata di me, tornerò a crescere partendo da quei diciott’anni”. È sincera quando fa le bolle di sapone e va a letto con gli orsacchiotti e decanta la barba di Fidel Castro o è sincera quando fa questi discorsi? È davvero ignorante e incosciente come vuole far credere o legge Topolino per imbrogliarmi? Il suo successo è davvero frutto del caso e della stupidità collettiva, come afferma di credere, o se lo merita? La sera, quando il Festival esplode nel teatrino del Casinò e lei si accinge a cantare, non l’ho ancora capito. Il teatro è pieno di gente che ha pagato ventimila lire una poltrona di legno per ascoltare la Mina, l’Italia attende alla radio e alla televisione che la Mina incominci a cantare. La Mina s’è messa l’abito nero da diva e avanza con passo sicuro, come se quell’ attesa non la riguardasse per niente, va a porsi con le gambe unite e ben salde dinanzi al microfono, l’orchestra attacca un motivo banale, l’Italia si stura gli orecchi, la Mina schiude le labbra e la sua voce roca, a momenti infantile a momenti matura, si spande: mentre tutto il suo corpo, le mani, le braccia, i capelli laccati dal Nino partecipano di quel dimenare che, secondo i suoi biografi, “dà un brivido lungo”. Forse non sa cantare, ma la sua voce mi piace, è viva come poche altre voci di gente che sa cantare. E soprattutto mi piace la Mina che canta a occhi chiusi come se raccontasse Io amo, tu ami a sé stessa e se ne fregasse di quelli che la stanno a ascoltare. C’è in lei un inconfessato disprezzo per coloro che la stanno ad ascoltare e infatti, quando ha finito, volta sdegnosamente le spalle e se ne va: per andare a guardarsi alla televisione. La trasmissione non è in diretta, viene trasmessa più tardi; ciò le consente di vedere l’unica persona che la interessi del Festival: sé stessa. Infatti, la ritrovo dinanzi allo schermo, in albergo, e si osserva estasiata, con la bocca aperta e gli occhi che brillano: “Oh mamma! Guarda la Mina!”. Eh, sì: è proprio una bimba cui bisogna voler bene come ad una sorellina che va difesa perché non sa dire bugie. “Sai?” mormora con aria compunta, “queste cose mi divertono tanto: ma non posso mica continuare a divertirmi in eterno. Devo proprio pensare a quel che farò da grande. Bisogna che mi decida a studiare, a leggere i libri, i giornali, a cercarmi un vero mestiere”. Ma poi il manager viene a dirle che è entrata in finale, ci sono molte probabilità che questo Festival lo vinca, e lei si fa seria come una donna d’affari, in tono professionale gli spiega che in tal caso dovrà correggere il disco, non le piace quell’emissione di voce, l’arrangiamento andrebbe modificato, non trovi? Così mi prende il sospetto che sappia benissimo chi è Fidel Castro, e chi è Kennedy, e chi è Maometto, e cos’è l’amore, e perfino cos’è un pentagramma, e che le bolle di sapone non la divertano affatto, e che l’orsacchiotto sia la sua borsa dell’acqua calda, e che un giorno diventi un’artista autentica come la Piaf, forse lo è già, e di nuovo mi irrita il dubbio di essere stata presa per il naso: davvero essa riassume l’enigma di una generazione da cui ci divide un invalicabile abisso.

 

Generic filters
Exact matches only
Search in title
Search in content
Search in excerpt
Filter by Categorie
Articoli
Anni 1950
Anni 1960
Anni 1970
Anni 1980
Anni 1990
Anni 2000
Anni 2010
Anni 2020
Dicono di lei
Mina Editorialista
La Stampa
Liberal
Vanity Fair

LEGGI ANCHE

Giorgio Bocca – Il juke-box è troppo stretto per Mina

Stasera Mina ha una chioma folle e un abito su cui brillano paillettes. Pallida. Smagrita, gli occhi dilatati da un’ira nevrotica, la ragazza si torce le mani per vincere il disgusto degli sconosciuti che le respirano addosso.
Siamo in una sala da ballo alla periferia torinese. Con duemila e cinquecento lire a testa (quasi due giornate di lavoro) i giovanotti del quartiere si sono pagati, per un’ora, la presenza fisica della più famosa “urlatrice” d’Italia; i più fortunati, adesso, circondano il suo tavolino, sotto l’orchestra.

leggi tutto

Tony di Corcia da “Mina Viva lei”

È diventato molto difficile scrivere di Mina.
Questo compleanno così rotondo e fatidico degli 80 che cade oggi, è stato già consumato da fiumi di parole, orde di filmati, immagini stranote.
Ogni cosa sembra già detta. Il prematuro ritiro nel 1978 – una clausura anti-mediatica – l’ha resa per sempre giovane.

leggi tutto

Natalia Aspesi – Ecco Mina più grassa più bella e più brava

Mina torna a cantare in pubblico, dopo sei anni di lontananza e subito fa apparire meschine, assurde, due mitologie della nevrosi estiva di massa: è di un biancore luminoso, intatto e superbo, in mezzo a gente vergognosa del proprio pallore, fissata a inseguire abbronzature rugose e sinistre; è grande, opulenta, riccamente carnale, in una folla di disperati che puniscono il loro sogno di magrezza con un’alimentazione colpevole e instancabile e avviliscono i loro pensieri con calcolo di punti e calorie, raccolta di diete, disgusto del proprio corpo umanamente espanso.

leggi tutto

Indro Montanelli – Il fragile segreto di Mina

Due forze sembrano sostenerla, l’istinto e l’ignoranza. Ma poi non è difficile capire che è una calcolata finzione così astuta da sembrare la verità. Roma, febbraio. Mi dicono che qui a Roma, i campioni di Sanremo venuti a ripetervi le loro imprese canore, hanno avuto sfortuna.

leggi tutto