La Stampa n. 2/2011
Assenza più acuta presenza. Un verso, una poesia del superbo, adorato Attilio Bertolucci che condensa un sentimento che è più di un dolore, più di una sofferenza che non può aver fine. Più di mille parole, comprime, ma non riduce. Allarga e ingrandisce una condizione che rimarrà per sempre cronica, uno spasimo che ti assale alle spalle in modo repentino e inaspettato anche quando previsto. Il non-luogo del dolore puro è una casa senza finestre, senza porte, senza luce, senza voci. Un territorio da cui, comunque, non sapresti e non vorresti uscire.
«Assenza più acuta presenza». Una condizione, una mancanza già inaccettabile quando la logica illogicità della vita costringe a uno strappo intuìto. Ma quando ti tolgono una figlia, piccola, tutte le poesie, tutte le logiche, tutte le razionalità, tutte le considerazioni, tutta la lucidità, tutti i proponimenti vanno a farsi benedire. Il cuore si spacca, ma sei costretto a continuare a vivere. Ed è allora che c’è chi si affanna a descrivere il buco del non sapere, il picco della speranza, la costanza piatta del dolore con ore e ore, giorni e settimane di «dirette» diurne e notturne dove chiunque dice la sua. Questa è la maleducata intrusione degli «addetti ai lavori», dei doverosi degli ascolti, del diritto di cronaca che con l’alibi del «potrebbe servire» non ha la decenza di arrestarsi.
Agghiacciante. Intanto, qualcuno, magari molti, forse troppi lavorano al mistero con gli strumenti più disparati. Valgono anche quelli fasulli in partenza. Un esercito di sensitivi prova a «sentire» dimensioni sfuggenti, come hanno già fatto i cani con gli odori, e gli informatici con le onde fisiche rintracciabili. Vale tutto perché ne vale la pena. Valgono anche trecento, tremila «sensitivi», per cercare di calmare la disperazione.
Più che confidare nell’extra-senso, mi piace immaginare un’enorme nuvola telepatica, generata dall’apprensione di tutti gli attenti, che prema e opprima chi è responsabile dello spietato rapimento. Perché quella bambina, come tutti i bambini rubati, maltrattati o uccisi, è anche figlia nostra. Il dolore annienta, ma bisogna continuare a sperare. Sperare che tutto ritorni normale, che la ragazzina venga restituita, che torni a casa e che piano piano dimentichi questo orrore. Questo è quanto auguro ai genitori di Yara ai quali mi permetto, in punta di piedi, di mandare un abbraccio silenzioso.