Lelio Luttazzi – Intervista di Lele Cerri

Intervista di Lele Cerri
03.04.2002

Ecco, sono in piazza, vista sulla vallata e verso il mare; quello dietro ai tetti è il comignolo della sua casa, nuvole bianche di fumo che promettono uno squisito arrosto.
Mi apre la porta la moglie Rossana, baci e abbracci che inneggiano a una bellissima fetta di vita passata assieme, e lì, dietro, nel corridoio con pareti e sfondo di libri, con lo sguardo che mi aspettavo, Lelio Luttazzi; sì, quello de “L’avventura” di Antonioni, quello che corteggiava le signore sotto “L’ombrellone” di Dino Risi, ma soprattutto quello di Souvenir d’Italie, Il giovanotto matto, Legata ad uno scoglio, Canto anche se sono stonato e, e qui veniamo a noi, della strofa e del dicotomicopernondireschizofrenico attacco di “Una zebra a pois”.
Il commosso nostalgico sono io. Lui per niente. È forte, Lelio, è uno da corazzata Potemkin e subito dopo da 3 diversi rave parties nella stessa notte credendo di essere sempre allo stesso. Ho il forte sospetto che sotto sotto passi nottate in giro camuffato a fare il rapper. Mi viene incontro, non come speravo, ma come mi aspettavo:
L.L. – “Ciao, come stai? Ti vedo in forma. So perché sei qua! Ma io non so niente!, non mi ricordo niente! Chiedimi come si chiamava mia madre!… non me lo ricordo!… non me lo ricordo!…”. E ha negli occhi tutto Louis Asrmstrong minuto per minuto, tutto il jazz minuto per minuto… e Mina.

Lo abbraccio, di forza, e mi sembra di sentire sparare le sezioni di un’orchestra alleata.

L.C. –  “Ciao Lelio. Vorrei farti un po’ di domande, così… su Jole Nagel e le riviste viennesi, sulla pasticceria triestina, su piazza Unità, sul molo audace e sul Comando Americano a Trieste”. (Ci siamo. Dagli occhi che fa, da quello che Mina chiama “il faccino di Lelio”, forse sta avviandosi a distruggere ogni suo precedente record di immersione…).

L.L. – “Mina… sì, va bene, Mina!……… parliamo dell’effetto “incontro con Mina”! Come vuoi stare quando giri l’angolo e te la trovi davanti? Provaci tu a far finta di niente, che tutto sia come prima!… è arrivata di colpo! di colpo mi è diventata paesaggio e panorama. E anche orizzonte!: un territorio totale…. Ecco, te l’ho detto, ti ho detto tutto, ora basta…”

Quel basta lì, come l’ha detto, mi rassicura. Vuol dire che c’è dell’altro. Incalzo fortificato dal suo sprint:

L.C. – “Era il 1960, era l’estate, come direbbe Gigante, ed era “Sentimentale” in TV. La gente diceva: “stasera c’è Mina in TV? No? Allora esco…”. Tu avevi al tuo fianco, per la sua prima volta in TV da protagonista, quella che Giorgio Bocca avrebbe poco più tardi, alla fine di quell’anno, definito “la più grande soubrette del dopoguerra”…

L.L. – Ecco, vedi che ti ricordi tutto, tu!? E quella cosa lì, della grande soubrette, sì, se Bocca l’ha detta a Natale di quell’anno io l’ho pensata in estate, certo, mentre facevamo “Sentimentale”, perciò, se le cose stanno così, l’avrei pensata con un bel sei mesi d’anticipo. Ma con questo?… mi sembra d’essere a una corsa in bicicletta, vince Bocca o vinco io? Mi ha telefonato l’altro ieri, Mina. Ho alzato la cornetta e ho sentito “Ciao sciu Lèlu”, in una lingua che ci eravamo inventati. Mi chiama ancora “sciu Lèlu, zio Lelio”. Il guaio è che mi ci chiamava anche allora, durante “Sentimentale”. Quando eravamo liberi, prendeva la macchina, lei stava in un albergo del centro, era sola, e veniva a casa mia. Passavamo serate e serate sul divano ad ascoltare musica, Sinatra e compagnia. E mi chiamava “sciu Lèlu”! Io la guardavo come un pesce in attesa della maionese. Non c’è stato niente da fare, nemmeno da provarci: ero innamorato fradicio, e lei mi dava un bacino sulla guancia e mi diceva “buonanooootte sciu Lèlu”. Buonanotte.
Se mai avessi dovuto scrivere una autobiografia, sai di quelle del genere “Un uomo che ha avuto tutto”, avrei assolutamente preteso di mettere in copertina come sottotitolo “e l’avrebbe ceduto per Mina”.

L.C. – Allora, Lelio, “Sentimentale”, 1960, per alcuni il “boom” della stagione…

L.L. – Ma, sì… …ma io non me lo ricordo come il “boom” della stagione… Mi ricordo la canzone… (canticchia) “Sentimentale sei tu… perciò ti voglio bè….”, ecco, mi ricordo così, che lì ci siamo incontrati…. Ma poi, di colpo, il mio ricordo, passa alle serate sul divano tutte televisione e musica… a lei, che stando a Roma… la sera… io stavo in una bomboniera fatta da Coltellacci, lo scenografo, e lei, che stava in un grande albergo del centro, prendeva un taxi e arrivava da me… eccolo il mio ricordo più cocente… perché io ero innamorato come un pazzo… e lei veniva da me e passavamo le serate a guardare la TV, come due bambini!… io matto d’amore, dentro di me cotto come una tegola, e lei… mi voleva bene, sì, mi voleva molto bene… ma io, per lei, andavo pazzo, pazzo! proprio pazzo pazzo pazzo. E ho avuto questo grande innamoramento…. Ch’è rimasto, che rimane tutta la vita… e non solo io… Di Mina siamo, siamo stati innamorati in parecchi. A parte che, poi, c’è stato quel periodo, lì, della Bussola, e in teatro, delle foto, sì, quello calza nera e via, dove era di una bontà, una bontà senza confini!… e questo mi ricordo.

L.C. – Lelio, non vorrei… ma l’avevi già detto prima… Capisco la passione eterna… ma poi? Cos’altro?

L.L. – Eeee… e poi… che, niente, che già da allora mi sono detto, ho detto “questa…, come questa, non ci sarà più nessuno al mondo”. E insisto, non ci sarà mai più nessun’altra al mondo che possa cantare così, e di un’intelligenza così atroce, così feroce, così… così… un’intelligenza che diventa cultura, spaventosa: e memoria spaventosa, musicalità, prendere le note, cantare “brava brava”, avrebbe fatto fatica la Ella Fitzgerald, insomma, per dire la verità.

L.C. – La scansione-dizione delle note-sillabe?

L.L. – Sì, quella, bravo, bravo… Ma la memoria musicale! La memoria in generale!… e poi le note!… (va in crescendo ndr.) e poi l’estensione!… e poi la, la sensualità!, che… che c’è ancora!!.. c’è ancora… (si calma ndr.) c’è ancora in questi ultimi dischi qui… Solo che c’è un’incisione diversa da allora, perché per me viene un po’ tecnicamente sovrastata… dagli strumenti elettrici, da tutto quello che c’ha dietro. Questa è stata ed è Mina.

L.C. – Come? Già finito?…

L.L. – Poi, è passato del tempo, l’ho rivista, ci siamo rivisti dai Ferrio, alcune volte…

L.C. – Come. “alcune volte”? Se ci siamo divertiti come matti per un quarto della nostra vita!…

L.L. – Sì, per un po’, corsi della vita permettendo, una famigliona… con le nostre belle partitone a biliardo, con Mina che per misericordia ci segnava un punto in più, ogni tanto, per misericordia, tanto tu ed io in coppia eravamo talmente tragici… e poi le sere dei cori, e il Natale, e i Capodanno e le primavere… il far west della campagna romana… e io che la guardavo e ripensavo che mi aveva sempre voluto “benissimo”, come “sciu Lèlu”… e basta! Però mi vuole ancora bene, e quando ancora mi chiama “sciu Lèlu!”, un po’ mi consolo di quella grande, assoluta, cinemascopica, totale “sbiancata”.

L.C. – Chiarisci “sbiancata”.

L.L. – La mia completa andata in bianco.

L.C. – Una domanda che ti sorprenderà, concentrati: ti ricordi il primo primissimo incontro con lei?

L.L. – No. Non mi ricordo niente. Io queste cose le ho fatte, lo so, ma non me le ricordo. Sarà una malattia? Mina se le ricorda?

L.C. – No. Almeno così ama dire.

L.L. – Ah, meno male!

L.C. – Rinuncio a sorprenderti di nuovo. Dimmi tu qualcosa.

L.L. – Fammi una domanda.

L.C. – Come stai?

L.L. – Bene.

L.C. – Voglio farti i complimenti per la tua presentazione di Mina, quel tuo “Signori… Mina!”, a Studio Uno ’65. Mi sono sempre ripromesso di farteli ma poi l’ho sempre dimenticato… lo faccio adesso: bella, essenziale…

L.L. – Sì, “Signori… Mina”. Mi piaceva fare così, sì… perché non era più il “signore e signori” …era più precisa… più asciutta… un “signori…” che precedeva quello che, poi, che secondo me era il massimo… “…Mina”. Con nell’annuncio la pausa… giusta… in attesa di quell’evento che era il suo arrivo. E poi, devo dire che, scarsuccio di memoria come sono sempre stato, asciugare sempre più le battute mi aiutava… …anche se, va da sé, per fare quell’annuncio non avrei certo avuto bisogno del gobbo… …che come tutti sanno è quella cosa sulla quale tutti lavorano in televisione leggendo quello che devono dire…
Io il gobbo l’ho sempre usato molto; come nei nostri siparietti con Salce, mio grande carissimo amico che rimpiango molto, al quale volevo molto bene…

L.C. – Avevate quella rubrica da cadere dalla sedia a Studio Uno ’65, tu e Salce…

L.L. – Sì, non ricordo quale Studio Uno fosse, ma mi ricordo la rubrica… Lui scriveva i testi. E io mi facevo scrivere tutto sui gobbi… perché ero io che ero di prima battuta, sempre, che dovevo fargli le domande, che dovevo sempre partire e rilanciare con argomenti in successione… e senza quell’attrezzo non mi sarei mai ricordato niente… Non mi sono mai fidato della mia memoria: Un giorno dovevo presentare un nuovo complesso… chiesi come si chiamava… mi dissero: “è facile, i Pooh!”. Va bene, fatemi il gobbo! Avevo bisogno del gobbo anche per una sola sillaba! Ho sempre avuto questa grande capacità di “non ricordare”, questi incalzanti attacchi di amnesia… Che mi hanno anche bloccato certi lavori… per esempio nel cinema… a parte la faccia, secondo me “negata”, per il cinema…. ma in certi momenti, sai quando si barcolla un po’? Quando si pensa di non sapere bene cosa potrà succedere di noi?… in una fase del genere, col cinema ci ho anche provato, perché no?… ma la memoria… Se tra il momento in cui avevo mandato a memoria le battute e il ciack c’era una pausa, piccolissima, un istante di controllo della luce, al ciack non ricordavo già più cosa dovevo dire… Ho fatto “L’avventura”, con Antonioni. C’era una scena in cui avevo quattro righe, con la Esmeralda Ruspoli, io non sapevo nemmeno che personaggio stavo facendo, e mi ricordo che tutti ridevano come matti perché io… …per farmi dire venti parole, abbiamo fatto una ventina di ciack!… in uno ne dimenticavo dieci, in un altro, le altre dieci… e così via… e ti sto parlando di cose che so che ho fatto ma delle quali ricordo pochissimo.

L.C. – Ecco qualcos’altro che tu sicuramente non ricorderai, “perché l’hai fatto”; ma lo ricordo io, vi ricordo io, alla Bussola, tu e lei… …cioè, ognuno per conto proprio, ma nella stessa stagione: estate 1962. Le signore impazzivano per te, Lelio.

L.L. – Ma non ci pensavano nemmeno, a impazzire per me. Anzi, c’era il povero Bernardini che credo rimanesse un po’ deluso da me. Lui si aspettava che io facessi chissà quali seratone mondane, ma io non me la sentivo di stare in scena per tanto tempo prima e dopo lo spettacolo. Anche prima e dopo quelli di Mina, naturalmente.

L.C. – In smoking, inderogabilmente in smoking.

L.L. – Mina in smoking alla Bussola non me la ricordo. Forse era a Studio Uno.

L.C. – No, Lelio, c’eri tu in smoking, alla Bussola, al piano, con abat-jour sul leggio.

L.L. – Ah sì, certo. Ti dicevo che Bernardini pensava che sarei stato uno che avrebbe fatto mondanità, che sarebbe andato in mezzo alla gente… ai tavoli importanti. Sì, qualche volta mi sedevo al tavolo di qualcuno…. Ma mi presentavo soltanto all’ultimo momento, e lo facevo quando c’era Bruno Martino, che suonava anche lui le sue due ore a sera… mi piaceva ascoltarlo e, allora, sì, quando suonava lui mi mettevo a un tavolo, in sala… E naturalmente succedeva così anche per gli spettacoli di Mina. In sala ci andavo soltanto per ascoltare quello che mi piaceva. Ma per gli altri, per altri di cui non mi importava, senza fare nomi, in sala non ci andavo proprio. Io avevo una villetta in affitto nelle vicinanze, e da lì arrivavo per suonare e lì tornavo dopo. A meno che non ci fossero delle persone con le quali mi interessava stare… Quindi, non credo nemmeno di avere dato l’opportunità alle signore di pensare a un dopo-show mondano… non facevo lo charmeur né tantomeno lo charmant. Facevo le mie “Legata ad uno scoglio” e quelle cose lì, e poi, quel che succedeva succedeva, senza programmi… Sì, Mina e gli altri, poi, giocavano a carte, con il cuoco Pirovano che portava raffiche dei suoi famosi “risottini”… ma io che le carte le odio, e quelli che giocano a carte mi annoiano anche visti di nuca, non rimanevo… E poi, non avendo proprio più speranze, con lei, me ne andavo per non soffrire…. La vedevo ormai soltanto come la più grande cantante di tutti i tempi, e un’amica, per la quale, se rimanevo, mi mettevo a strimpellare, a modo mio, il piano, a coda, che stava lontano da loro, senza guardare loro che giocavano…

L.C. – Lelio, ma quante cose ricordi!…

L.L. – Ricordo per quanto Mina dà la possibilità di starle dietro. E veloce com’è sempre stata, non ci ha certo aiutati a tenere in mente cronologie, periodi e cose del genere. La vedevi in un modo e due giorni dopo aveva già cambiato, evoluto, sempre più grande. Che spavento!

L.C. – Mina dice che sei sempre perfettamente riconoscibile; estendo il concetto: dice che chi ha ascoltato due tuoi pezzi, ascoltandone un terzo lo riconosce come tuo.

L.L. – Bello, è un bell’apprezzamento; posso anche pensare che un po’ corrisponda a verità e mi fa piacere che l’abbia detto. La ringrazierò.

L.C. – Ringraziala scrivendo un bel pezzo per lei.

L.L. – In questo momento non saprei da che parte cominciare.

L.C. – Allora diglielo, da qua. Parlando anche un po’ male di lei, di qualche suo difetto, come cerchiamo di fare, a volte, sottofinale, per dare uno zuccherino ad eventuali detrattori.

L.L. – No, non lo farei mai di ringraziarla pubblicamente. Anche perché cadrei nel trito e ritrito delle solite verità dalle quali, proprio perché sono verità vere, non si può scappare. Perché, certo di non cadere nell’encomiastica, ma di attenermi alla pura verità, dovrei dire che è irripetibile, e irripetibile a livello mondiale… Ed evitami di fare paragoni, anche con certe americane, ti prego… e per il semplice motivo che alcune di loro, brave che siano, al confronto sono un po’ coriste di coro di chiesa… in confronto… In confronto a che cosa? In confronto alla sensualità di Mina quando canta. E se vogliamo fare un paragone, facciamolo col massimo dei massimi, Ella Fitzgerald, o Sarah Vaughan… …ma lì siamo nel jazz, avevano “quel” linguaggio “perfetto”… Ma Mina può fare tutto… può anche far diventare belle, bellissime delle canzoni alle quali io, leggendole in una parte per pianoforte, non darei nessun valore… Anche gli ultimi dischi, con canzoni troppo complesse per me, per la mia mentalità, così piene di note, di notine una dietro l’altra, senza una melodia che… insomma…. Io come jazzofilo tutto questo dovrei pure amarlo, ma non riesco ad approfondirlo più di tanto… ecco… tutto quello, fatto da Mina, è sempre un concerto, di musica, di musica quasi seria… E poi ci ha pure messo questo accostamento con un gruppo jazzistico, che a me dà una gioia in più. E anche quando mi dicono – ecco, lo volevi il difetto? – quando mi dicono che Mina qualche volta sbaglia nella scelta dei pezzi, ne sceglie certi che non sono granché e ne rifiuta certi che poi diventano successi di altri, credo che, in qualche modo, per qualche motivo a noi incomprensibile, anche lì abbia ragione lei. Perché c’è sempre un ordine di intelligenza straordinaria, in ciò che fa. E quest’ordine conferisce significato ad ogni scelta, anche a quelle apparentemente sbagliate.

L.C. – E allora?

L.L. – E allora mi ricordo, finalmente, che una volta mi sorprese, ma non tanto, anzi per niente, un articolo, di Mino Guerrini, mi pare. Mi ritrovai subito pienamente d’accordo col sottotitolo, che diceva: “Di Mina, parafrasando Gertrude Stein si può dire: perché Mina è Mina è Mina è Mina…”

 

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