Marinella Venegoni – Mina. L’ex tigre innamorata del mistero

Di Marinella Venegoni – La Stampa
24.03.1990

Cinquant’anni? Potrebbero essere trenta o novanta, sarebbe lo stesso. Domani Mina compie mezzo secolo e la ricorrenza serve solo a far capire come la cantante sia diventata, nel costume italiano, un simbolo più che una persona vivente. Simbolo di un’Italia brava come lei, gloriosa e ottimista, quella degli anni del boom con i quali la sua ascesa è coincisa; ma anche, per gran parte di coloro che hanno più di trent’anni, simbolo sentimentale nel senso più competo del termine. Forse c’è da ringraziarla per aver scelto di essere scomparsa dalla circolazione, di non cantare o parlare mai più in tv né di lasciarsi intervistare: come Greta Garbo, ha lasciato spazio all’immaginario e alla leggenda, che nemmeno l’immagine di nonna grassa riescono a scalfire; e forse c’è da ringraziarla meno per le testimonianze canore che ci ha lasciato ogni anno in questi ultimi tempi, suo unico legame con il modo pubblico: la discografia corre così in fretta che la reclusione ha i suoi aspetti negativi, toglie a chi la pratica come il senso di come vadano le cose fuori, e Mina ci ha regalato spesso negli Anni 80 prodotti dozzinali, scelti e cucinati con poca grazia e forse poca voglia; ma trattavasi pur sempre di mediocrità sublimi. I fans restano moltissimi e non si perdono una sua uscita. A dodici ani dal suo ritiro dalle scene, con una scarsissima promozione, ogni anno le copie di dischi venduti con quei titoli bizzarri e assurdi come “Rane Supreme” o l’ultimo “Uiallalla”, con altrettanto bizzarre o assurde copertine dove Mina dà sfogo alle fantasie più inquietanti sulla propria immagine non sono mai meno di trecentomila: una cifra per la quale parecchie star attuali sarebbero disposte a vendere la propria mamma. Fanatici di Mina, ma per differenti motivi, sono anche i maggiori impresari italiani: da un paio d’anni s’è diffusa tra loro la voce che, per una cifra, per un ideale o per una ricorrenza, la Tigre potrebbe pure tornare sui suoi passi, a cantare ancora in pubblico, magari una volta sola. Le hanno offerto cifre con mai meno di nove zeri, e ancora gliene stanno offrendo; come finirà, naturalmente, non si sa. Come non si sa, né si saprà, in che modo la Tigre festeggerà domani i suoi opulenti cinquant’anni, se con allegria, con tristezza, o cercando di non pensarci e giocando a scopa: questo che riguarda lei è uno dei pochi silenzi stampa rigorosamente osservati, malgrado numerosi giornalisti la frequentino abitualmente come amici, spingendosi a trovarla fino alla sua casa di Lugano. Sono tutti avvertiti: scrivi una parola e io non ti parlo più. Siccome la faccenda continua a funzionare, si deduce che l’amicizia con Mina sia più ambita di uno scoop. Il silenzio totale era cominciato nel ‘78, dopo un già lungo volontario esilio di sei anni. Mina aveva cantato alla Bussola del suo scopritore Sergio Bernardini per festeggiare i vent’anni di carriera. L’attendeva una folla incredibile; opulenta nel suo vestito nero, con i capelli biondi selvaggi, alla fine del concerto era scappata senza neppure cambiarsi. Un amico le aveva strappato l’ultima confidenza pubblicata fra virgolette: “Stasera ho capito che non sono fatta per cantare in pubblico. Ho paura. Tremo. Non sento proprio il fascino dell’applauso. Che debbo fare? Non sono Eduardo”.                                                                                                                                             Non che la paura fosse una novità. Nell’estate del ’58, mentre sul palco della solita Bussola Don Marino Barreto jr. concludeva il proprio spettacolo, gli amici l’avevano spinta al microfono, e Mina aveva subito rivelato il grande talento che dormiva in lei: ma si trattava di un gioco; due anni dopo, quando era ormai una professionista, qualcuno presente dietro le quinte della “Sei giorni” raccontò di averla vista piangere per la paura del palcoscenico: “L’impresario la strapazzò, la insultò dandole della stupida e della cretina, la buttò a calci sulla scena. Per alcuni lunghissimi secondi, rimase come incapace di muoversi e di parlare, poi trascinata dall’orchestra attaccò “Proteggimi”. Le parole dicevano “Proteggimi, difendimi”, su quel “difendimi” Mina cacciò un urlo mostruoso, incredibile. Per gli applausi venne giù il teatro. Fragile fragile, anzi fortissima, Mina nella sua carriera ha rappresentato simbolicamente molti tipici controsensi italiani. Confessò nelle prime interviste che le sembrava brutto che una donna di famiglia borghese come lei guadagnasse soldi, spiegò che non parlava con Corrado Pani di politica per non litigare: “Io sono liberale, lui è un mezzo comunista”; ma nel ‘63 fu la prima star a sconvolgere l’Italia perché, lei nubile, aspettava un figlio da un uomo sposato. La tv di Stato la mise in quarantena: lei divenne per i giovani il simbolo di una moralità meno ipocrita, e fu poi riammessa sul video: nessuna cantante ci è mai rimasta tanto senza logorarsi, anzi ricavandone sempre più prestigio. Nessuna cantante ha inciso, come lei, 800 canzoni. Quella di Mina è una voce incredibile, con un’estensione vocale di oltre tre ottave come dimostrò “Brava”, scritto per lei da Bruno Canfora: molto meglio di quella di Barbra Streisand. Ha una capacità naturale si passare dai timbri morbidi al gridato: Luigi Pestalozza l’avvicinò a Cathy Barberian e alla Callas: “C’è qualcosa di comune nel loro modo di concepire la voce, anche come esperimento”. Ma con quella voce, c’è anche la pigrizia. C’è la paura degli aerei. È così che Mina non è diventata una star internazionale, che ha rifiutato i numerosi inviti di Sinatra negli Stati Uniti. Preferendo poco a poco il ruolo di cantante una volta l’anno, chiusa dentro i solchi di un disco. Buon compleanno, Mina.

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