Di Marco Mangiarotti – La Nazione
31.10.2000
Milano – Se sbucci la confezione di Wind, trovi un album con quattro cover inedite di Mina. In mezzo milione di copie, che verranno regalate ai nuovi abbonati da novembre a Natale (telefonino più scheda più internet più CD). Il contratto biennale tra la compagnia e la cantante, iniziato con la voce fuori campo nel discusso spot del rigore realizzato da Roberto Baggio, ci regalerà quindi qualcosa di sonoro e palpabile. Collezionabile e introvabile nei negozi di dischi. Ma, prima di tutto, un prodotto vero. Perché di là dalle strategie di comunicazione, a noi importa quel piccolo oggetto del desiderio, Mina che canta quattro splendide canzoni: “The wind cries Mary”, “Gone with the wind”, “Blowin’ in the wind”, “Ride like the wind”. Jimi Hendrix e Frank Sinatra, Bob Dylan e Christopher Cross. Copertina con i testi (da cantare) e una piccola orchestra condotta da Massimiliano Pani che produce e arrangia con Nicolò Fragile (tastiere), Gabriele Comeglio (fiati) e il maestro Gianni Ferrio (Gone with the wind), la squadra. Da quando esordisce nell’estate del 1958 in una serata informale alla Bussola cantando su insistenza degli amici uno standard di Don Marino Barreto jr., “Un’anima pura”, e per tutti i primi Sessanta, la divina cremonese, la “plebea sublime”, la ragazzona “troppo alta per una donna” (come scrivono allora i rotocalchi rivolti alle italianotte dal culo basso), quella tipa con le gambe imperfette dal ginocchio in giù, la zazzera impossibile, le mani grandi e irregolari, impone il suo modello senza nemmeno impegnarsi troppo.
Repertorio diagonale, dal dopoguerra agli anni ‘80, quattro situazioni diverse per il trasformismo di Mina. Che biascica uno dei primi singoli di Hendrix, mentre Andrea Braido suona sopra la chitarra di Jimi. Un blues che rotola lento, con il contrappunto di fiati e sezioni guidate dal computer. Voce sottotraccia, senza rabbia. Meno grassa di quanto avremmo potuto immaginare. Perché il modello non era Janis Joplin ma una lady della generazione precedente. Perché “The wind cries Mary” e “Gone with the wind” sono i due corni del viaggio: dalla musica di papà a quella dei fratelli minori.
Standard sublime con Sinatra in “Only the Lonely” (Capitol) ma anche nei modi più standard di Lena Horne, “Gone” conferma quello che la ragazza non dice: il suo amore per le cantanti e il repertorio del jazz. Mina prende le curve larghe dell’armonia con burrosa souplesse, accompagna l’istinto di una voce senza schizzi. Una delizia. E l’arrangiamento sapiente di Gianni Ferrio ci restituisce il suono di un’epoca. “Blowin’ in the wind” è la dolorosa saggezza di Bob Dylan ma anche canzone manifesto di una generazione e simbolo dello scrivere folk rock, come testimoniano le sue oltre sessanta versioni. Da quella pop di Peter, Paul & Mary a quella soul di Stevie Wonder. Qui è trattata come uno standard moderno alla Bacharach, con un tappeto di vibrafono, voci strumentali che interferiscono nel suono della house band e virano dolcemente dalla parte del jazz.
Come la fusion dance di “Ride like the wind”, raffinata e veloce (qualcosa tra i Doobie Brothers e la disco). Complimenti allora a Max Pani, ad Alfredo Golino (batteria), Massimo Moriconi (basso e contrabbasso), Nicolò Fragile (piano, fender, tastiere), Giorgio Cocilovo e Andrea Braido (chitarre), Emilio Soana (trombe), Gabriele Comeglio (sassofoni), Mauro Parodi (tromboni). Il prossimo appuntamento con Mina (e con Wind?) sarà tra due settimane per la presentazione del suo sito. L’album in studio è annunciato per il Natale del prossimo anno. E l’omaggio a Modugno riposa tranquillo nel cassetto.