Di Gino Castaldo – La Repubblica
22.10.1988
In trent’anni di carriera ha cantato il cantabile, un enorme imponente canzoniere che arriva a proporzioni da computo statistico. Cosa ha significato per noi questa voce? Questa voce così duttile da poter essere a volte così iperuranica e cristallina, altre volte calda e sorniona, a volte virtuosistica, a volte morbidamente interpretativa. È “la” voce italiana di questi trent’anni. È la grande madre, ma anche una donna passionale, eppure la sua voce ha sempre qualcosa che la rende irraggiungibile, quasi che potesse esistere anche al di là del personaggio a cui appartiene. E questa sensazione di parziale irrealtà non è dovuta solo alla recente sparizione. C’era anche quando il suo volto era familiare a tutto il pubblico televisivo. Mina era simpatica, cordiale, umana, quando parlava e scherzava con gli ospiti, ma quando cominciava a cantare succedeva sempre qualcosa di speciale; la sua ugola dorata sembrava accedere a qualche strana e angelica regione non del tutto accessibile ai comuni mortali. Tutto questo è cominciato in un momento preciso, perfettamente riconoscibile, ovvero quando Mina ha cantato e portato al successo la canzone “Il cielo in una stanza”, grazie al decisivo incontro con Gino Paoli. Mina in quel pezzo ha scoperto la possibilità di dare voce ad una canzone importante, di renderla così alta, lontana, inaccessibile. Lì è diventata una vera interprete, una di quelle voci che nascono talmente di rado da essere considerate fenomeni unici e irripetibili. Narra la leggenda che all’apice della carriera Mina sia stata corteggiata pesantemente dagli americani. e non abbiamo dubbi sull’esito che avrebbe avuto nel mondo una Mina lanciata dallo star system americano. Ma Mina disse di no, chissà se per snobismo o per paura, o forse per rimanere sino in fondo un prodotto italiano, uno dei pochi, musicalmente, di cui possiamo essere orgogliosi.