Di Carlo Giovetti – Il Giorno
16.04.1968
Mina che canta, smentisce, gioca a scopone e parla di Paciugo. Adesso è rilassata e non avverte nemmeno il vento freddo che arriva con l’alba. “Ma avevo una paura, tremavo tutta. Una volta non mi capitava, più vado avanti con gli anni e più mi sento gelare”. È giusto che sia così: Mina che interpreta “La canzone di Marinella” non è più la stessa che urlava “Le mille bolle blu”. Forse non ebbe paura nemmeno la prima volta, quando decise improvvisamente di passare “dall’altra parte”: proprio qui, alla Bussola di Bernardini, nell’estate del ’58. Furono gli amici a convincerla, e lei salì sul palco – da Marino Barreto jr. – e gli chiese di accompagnarla. “Fra le mie mani ho un’anima pura…”: fu quella sera che nacque Mina. “La Bussola mi ha portato fortuna – mi ha detto mentre sparigliava con accortezza – ed ecco perché ho voluto tornarci per questa data. Ma lasciamo perdere certi termini: diciamo dieci anni, e basta”. E anche quando saltano i tappi dello champagne, e qualcuno accenna al “ventennale” preferisce cambiare discorso. “Io non ho fatto rivoluzioni, canterò finché il pubblico ci sta, il mio mestiere mi diverte ancora”. Con l’orchestra di Augusto Martelli ha interpretato dieci diversissimi pezzi, sfidando anche Johnny Ray (“Cry”) e Dionne Warwick (“La voce del silenzio”). Chi non c’era, ieri sera alla Bussola, potrà ascoltarli tra una quindicina di giorni, con gli applausi e con le urla della gente che si accalcava in sala. Sarà un long-playing “dal vivo”, come un Sammy Davis dalla Town Hall di Nuova York, o un Miles Davis dal festival di Juan-les-Pins. In Italia, non era mai avvenuto, e si capisce, le alchimie degli studi di registrazione sono troppo tonificanti per poterne fare a meno.
Vi anticipiamo gli altri titoli: “Regolarmente”, “Un colpo al cuore”, “Se stasera sono qui”, “Per ricominciare”, “Allegria”, “Deborah”, “C’è più samba”, “Canto de Ossanha”.
Dieci anni, un lungo film: il successo da un giorno all’altro, Corrado Pani e il figlio Massimiliano (ma per lei è soltanto Paciugo), il dissesto dell’industria paterna, la morte del fratello Alfredo, il silenzio per quasi due anni, e poi di nuovo la “sua” grinta (ma non chiamatela tigre) per riguadagnare le posizioni. Adesso è diventata donna, sa cantare meglio di prima, ha una casa discografica (“È vero, cerco di imporre un repertorio non banale, però il pubblico mi segue”) e forse anche una tranquillità sentimentale. “Un bilancio di questi dieci anni? Mi sembra positivo, tutto sommato. Sono cambiata molto, mi sono imposta dei sacrifici”.
Proprio l’altro giorno, un rotocalco ha scritto – in termini zuccherosi – che Mina torna con Pani per rivivere il suo grande amore, che Massimiliano ha compiuto il miracolo, che Augusto Martelli non può fare nulla contro la realtà dei sentimenti e contro un destino irrimediabilmente avverso. E Mina, invece, cosa dice? “Avrei dovuto farci l’abitudine, ma non ci riesco: come è possibile inventare cose del genere? Ogni giorno dovrei smentire, dovrei tenermi un avvocato sempre vicino come faccio con Elio Gigante”. Ormai il cielo si comincia a schiarire, e Mina è ancora qui a contare ori e primiera. “Non vado a letto, parto fra poco: il mio autista si sposa a Milano e debbo fargli da testimone. Anche questa è un’esperienza nuova”. Poi comincia a parlare di Paciugo (Compie cinque anni il 18 e non so cosa regalargli: ormai ha avuto tutto, proprio tutto”), dell’amicizia con Fellini (“Dice che ho un faccione misterioso, da clownessa, da pierrottessa: venne a trovarmi con 40 di febbre e con uno stock di sciarpe indosso per offrirmi una parte nel suo film, ma poi non l’ho più visto”) e di un sogno che fa spesso. “È sempre quello, da anni: una automobile da autoscontro e io che ci sto stretta, in una piazza di Cremona, per consegnare una camicia a una persona che non riesco mai a trovare. È anche un sogno a colori, con l’automobile rossa e la camicia bianchissima”. Ma non ha mai chiesto il significato del sogno? “E perché mai dovrei farlo? Potrebbero dirmi chissà che cosa, è molto meglio che non sappia nulla”.