Di Marinella Venegoni – La Stampa
18.04.2001
Non è un incontro a metà strada, questo tra due autentici campioni della musica popolare, Mimmo Modugno e Mina, un incontro dal quale vien fuori quell’album a lungo annunciato e che ora finalmente arriva (è disponibile da domani, giovedì 20) col titolo provocatorio di «Sconcerto». Non è a metà strada perché Mina va oltre l’affettuoso recupero filologico, e s’impegna invece in una rilettura del tutto originale di alcuni caposaldi del multiforme artista pugliese. Dai temi più passionali («Tu si’ ‘na cosa grande», «Resta cu’mme») ai risvolti umoristici («Pasqualino Marajà», o la buffa «Donna riccia»), Mina ha voluto rendere omaggio – ma un omaggio assolutamente d’autore – a un personaggio unico (che «non ha avuto modelli e non ha avuto emuli» dicono le note che accompagnano il disco, e sembrano scritte proprio da lei, nello stile che i lettori de «La Stampa» ben conoscono). L’intenzione dichiarata dell’interprete è stata dunque di lasciar perdere la tentazione («forse la più facile») d’inseguire Modugno, per rileggerne invece le canzoni come «pagine di un diario non personale, ma sentimentale, assorbendone il senso e la ragione e facendole proprie». Ne esce dunque un album molto «minesco» e per certi versi di riletture sorprendenti e comunque inattese, anche un piccolo gioiello di atmosfere musicali. Il disco si apre con un attacco vocale lancinante, sul ritornello di «Tu sì ‘na cosa grande», trasformata in un pezzo sopra le righe, ricco di sonorità e voce arabeggianti; e si chiude con «Volare»: qui la sfida di una canzone usurata dalle ripetizioni viene risolta in un frammento sottratto all’iconografia, che si trasforma quasi subito in un arrivederci agli appassionati, con le voci dei musicisti che dallo sfondo si salutano dopo aver concluso il lavoro. Con il rischio, sempre, della prevedibilità di un repertorio assai consumato, le undici canzoni finiscono per diventare una collana di riscoperte. Dove ricordavamo la carnalità sofferta tipica dell’autore, Mina ha cercato invece la strada della rarefazione: succede per esempio nella «Strada ‘nfosa» e nei due testi firmati da Enrica Bonaccorti, «Amara Terra Mia» e soprattutto «La Lontananza», che si fa intrisa di una elegante saudade; anche «Notte di luna calante» ha sonorità soffici, da easy listening, con la voce che rispolvera certi accenti della Mina più ragazza e sbarazzina; «Dio come ti amo» sceglie invece la drammaticità delle note più basse; «Resta cu’mme» diventa una sorta di dialogo, e la voce profonda di uno dei musicisti finisce per farci tornare alla mente un episodio che fece epoca trent’anni fa, le «parole parole» di Alberto Lupo. È dovunque notevole la libertà di una partitura musicale che profuma di jazz, e infatti le solite note dell’album spiegano: «Gli arrangiamenti sono di chi ha suonato e cantato»; e sono ancora quelle note a ricordarci che questo «non è propriamente un album di Mina-cantante-solista-con-accompagnamenti-strumentali, ma il disco di un complesso jazz di cui Mina è la vocalista». Tale intenzione si coglie anche graficamente, nella copertina dell’album, dove i musicisti in smoking (compreso il bel Massimiliano Pani, figlio dell’artista) fanno corona a Notre Dame sontuosamente in nero, con un dagherrotipo che ricorda le luci in bianconero del Modern Jazz Quartet. E i musicisti sono quelli che accompagnano abitualmente l’interprete, da Danilo Rea a Braido, da Daniele Di Gregorio al flicorno di Franco Ambrosetti, con anche l’orchestra d’archi diretta da Gianni Ferrio. L’accuratissima registrazione è di Carmine Di, e anche questo album ha visto la luce con il metodo di lavoro ben documentato dal recente evento Internet nel quale Mina è tornata a mostrarsi al suo pubblico. Infranto ormai il tabù dell’immagine, il libricino allegato al cd ha bellissime foto di studio, con l’interprete al microfono o mentre chiacchiera con i musicisti. Uscita dal suo orgoglioso isolamento, Mina è dunque come se fosse tornata un po’ più fra noi; e, chissà poi perché, anche la sua voce in quest’album ci sembra più vicina e umana. Più la sua, di Mina.