Di Tonino Amurri – il Giorno
21.03.1989
Ecco, non di più.”
LEGGI ANCHE
Stasera Mina ha una chioma folle e un abito su cui brillano paillettes. Pallida. Smagrita, gli occhi dilatati da un’ira nevrotica, la ragazza si torce le mani per vincere il disgusto degli sconosciuti che le respirano addosso.
Siamo in una sala da ballo alla periferia torinese. Con duemila e cinquecento lire a testa (quasi due giornate di lavoro) i giovanotti del quartiere si sono pagati, per un’ora, la presenza fisica della più famosa “urlatrice” d’Italia; i più fortunati, adesso, circondano il suo tavolino, sotto l’orchestra.
Ma chi è dunque questa ragazza che in nemmeno due anni è diventata una specie di mito degli italiani giovani e vecchi, poveri e ricchi, babbei e intelligenti, comunisti e cattolici, e in un minuto guadagna quanto guadagna un magistrato in un mese (centocinquantamila rotonde), in una settimana colleziona sei copertine di settimanali autorevoli, e se dite di non averla mai vista cantare vi trattano alla stregua di un ignorante, di un traditore della patria o di un cretino?
È diventato molto difficile scrivere di Mina.
Questo compleanno così rotondo e fatidico degli 80 che cade oggi, è stato già consumato da fiumi di parole, orde di filmati, immagini stranote.
Ogni cosa sembra già detta. Il prematuro ritiro nel 1978 – una clausura anti-mediatica – l’ha resa per sempre giovane.
Mina torna a cantare in pubblico, dopo sei anni di lontananza e subito fa apparire meschine, assurde, due mitologie della nevrosi estiva di massa: è di un biancore luminoso, intatto e superbo, in mezzo a gente vergognosa del proprio pallore, fissata a inseguire abbronzature rugose e sinistre; è grande, opulenta, riccamente carnale, in una folla di disperati che puniscono il loro sogno di magrezza con un’alimentazione colpevole e instancabile e avviliscono i loro pensieri con calcolo di punti e calorie, raccolta di diete, disgusto del proprio corpo umanamente espanso.